giovedì 31 dicembre 2009

duemilanove, l'uscita è da quella parte, prego...

Gli ho voluto bene, io, a questo duemilanove e, se ora lo guardo attraverso il mirino di un fucile non fraintendetemi, è solo per non perdermene neanche un dettaglio, ora che si allontana.

Che è stato un anno particolare, questo duemilanove, di cambiamento, di crescita e regressione.
Ho fatto cose che non facevo da una decade, e non mi sono piaciute per niente, nonostante pensassi che...
Sono successe cose che aspettavo da forse ancora più tempo, e che hanno deluso le aspettative in un modo che...
Poi incidentalmente mi sono ritrovato un lavoro da lasciare al più presto e ho lasciato una donna con cui mi ero ritrovato invischiato in una maniera che proprio non mi andava; ho scoperto più amici di quelli che sospettavo di avere, diversi da quelli che pensavo di avere, venuti fuori da dove non pensavo. Ho lavorato molto su me stesso, in questo anno, ho smussato un poco quegli angoli con cui non mi ritrovavo, e credo di aver fatto un discreto lavoro.
Poichè la vita è un cerchio torno, dopo due decadi abbondanti, nella casa della mia infanzia, da adulto però, e da uomo indipendente.

Di questo duemilanove, vi giuro, mi mancheranno gli ultimi trenta giorni, che m'hanno dato una scrollata come si deve, e hanno disseppellito il quindicenne poco controllato che se ne stava nascosto sotto la polvere.

Ora però, duemilanove, è il caso che tu vada, hai quattro giri e mezzo ancora ma, tu lo sai come sono in questo periodo, se inizi ad andare non sbagli, che mi trema il dito sul grilletto.

Sbilanciandomi in un bilancio. Un anno di me. Duemilanove.

Sono qui, sull’uscio e tiro un sospiro, che, lo dico sottovoce, sa di ideali. A cavallo fra un giro ed un altro, pronto ad entrare nel prossimo vagone, mi soffermo, per un minuto che sia uno a vedere cosa mi sono lasciato alle spalle.

Quest’anno, è nato come quello prima e quello prima ancora. Con me schiacciato nel mezzo di una vita non mia. Tramortito dalla paura di uscire da quello che (ora me ne rendo malinconicamente conto) non era più un mio sentimento, da molto tempo. Con me, che non riuscivo a scappare da una ragazza che probabilmente non avevo mai amato e che miseramente non riusciva né poteva darmi nulla, non avendolo nemmeno per se. Con me, morto nel mio cantuccio ad aspettare che il giorno mi facesse compagnia nella fossa, perso come ero fra deliri ed attacchi di panico e fobie inspiegabili. E così è stato per sei mesi. Davvero crudeli, quegli ultimi rantoli. E poi, un giorno di maggio, tutto è cambiato. Lei mi ha lasciato. E mai cosa migliore sarebbe potuta accadere in vita mia. All’inizio, non capii il bene che mi stava facendo. Non percepii che mi stavo liberando di inutile zavorra. Ma è proprio vero che è maggio, il mese delle fioriture e dei colori. E ho cominciato a vederli di nuovo, uno ad uno. Amicizie di vecchia data, messe ingiustamente in un cassetto a prendere polvere, sono state rimesse al posto che loro spetta, fra i miei punti fermi. E persone che ho avuto modo di conoscere davvero dopo tanti anni, si sono rivelate le migliori con le quali io avessi mai potuto avere a che fare, semplicemente fantastiche. E poi quelle nuove, non son state da meno. E’ così, che ho ricominciato a sentire. La voglia di esserci, la voglia di scrivere e di scrivermi come in pirografia, su tutte le mie giornate. E la forza, quella appassita un tempo, di affrontare e lottare e superare ogni strafottutissima paura. Niente più attacchi di panico, nemmeno prendendo di petto quel monte insormontabile che era per me, viaggiare in aereo. E vedere gli ingranaggi che girano, osservarli e carezzarli. Soave. E cogliere con le mie stesse mani l’innamoramento, che pensavo fosse un sentimento che potesse appartenere solamente all’adolescenza. E invece è incredibile scoprire come tutto fosse sbagliato, fuori fuoco. Ora non lo è più. Ora il cambiamento, mi percuote costantemente, mi rende instabile, donandomi un brivido, se lo cavalco. E ora, lo cavalco, senza preoccuparmi troppo di tenermi stretto alla sella. Era così che vivevo, è così che sono tornato a vivere. Certo, invece di tre giorni, ci ho messo tre anni, per uscire dalla tomba. Ma cazzo se ne è valsa la pena. E Orsera, e Barcellona e le risate, le sigarette, le nottate, gli scazzi, le confessioni, i fiumi di alcolici. Tutto. Tutto quello che mi mancava. E’ un respiro che sa di ideali, perché, un tempo nella libertà ci credevo. Ed ora che libero non lo sono solo di nome, me ne riempio i polmoni.

Avrei dovuto scriverlo in maniera diversa, cesellando le parole, schivando la retorica, curando questa forma stentata. Ma non mi andava, perché è proprio così, che è stato questo cazzo di duemilanove. E questo non è un racconto, ma una confessione.

Un ultimo ringraziamento lo lancio ai miei amici, quelli veri, che sono pochi, intimi e davvero grandi. Siete i migliori, oltre agli svariati buffi che ho, vi debbo una vita.

E poi, grazie a Lei, che mi ha fatto crescere, facendomi tornare quello scemo diciassettenne che ero. Con gli occhi a cuoricino.

Ci vediamo fra qualche ora, sul prossimo giro di otto volante.

Con affetto, Alessandro

lunedì 28 dicembre 2009

Fin qui tutto bene 2: scelte sull'atterraggio

Questi giorni, scusatemi, ho scritto veramente poco.
Il fatto è che ho scoperto che a cadere non si riesce a scrivere in maniera coerente. E, nonostante gli attimi in cui la vertigine si fa sentire e l'ansia mi blocca la gola, me la sto godendo tutta, la caduta, col vento che mi soffia possente nelle orecchie e il caleidoscopio di immagini che mi passano davanti, senza mai guardare verso il basso.
Anche adesso, che avevo in mente di scrivere una cosa, mi son perso, ho preso velocità, ho cambiato idea.
Il fatto è che il fondo è vicino, e ad atterrare devo atterrare per forza. Preferite un arrivo silenzioso o un botto che basta solo lui per capodanno?
Datemi una risposta voi, che vi riguarda da vicino, che da come atterro si decideranno i post del prossimo mese o due, come minimo.

venerdì 25 dicembre 2009

Filastrocca della pace natalizia

Tanti auguri a tutti quanti, pure agli stronzi e agli arroganti

Tanti auguri agli esclusi, così che gli altri, rimangano delusi

Tanti auguri alle preziose, che son sempre spine e quasi mai rose

Tanti auguri e buona pace, anche a chi proprio non ci piace

Tanti auguri a chi ama le frasi fatte, le rime scarne e le fiabette

Insomma a tutti quelle che giocano le matte, per poi far le marionette

Tanti auguri agli idioti riconosciuti, perché siamo in tanti

E se all’appello parecchi non l’ho veduti, confido che prima o poi si facciano tutti avanti

Tanti auguri al sottoscritto, che un po’ di pace, se la merita di diritto

Tanti auguri a Gesù e a babbo Dio, che oggi siamo in tregua e per una volta, lo decido io.

Buon natale da noi di Tetrapiloctomia alla buona

Approfitto della presente per augurare a tutti voi, affezionati, casuali o costretti lettori del blog quello che più vi piace sentirvi dire in un giorno come questo, che non tutti oggi festeggiano la stessa cosa, e non vorrei escludere qualcuno, che oggi, tutto sommato, mi sento buono.

mercoledì 23 dicembre 2009

Idrogrammatologia 3: Del viver tondi e morir quadrati

Ho scoperto che mi piace, qui sul blog, dire le cose trasversalmente alle persone. Estrapolandole dal contesto e generalizzandole, così che magari possano aver valore per qualcun'altro oltre che per l'interessato, e che questi debba comunque fare un minimo sforzo intellettuale per capire che il post è per lui.

Che non penso di essere una cattiva persona ma, effettivamente, due o tre fisime caratteriali ce le ho.
Difficilmente mi incazzo con un amico, e per pochissime cose; sono abituato a dividere tutto, con gli amici, senza fare troppo caso a se e quanto ci perdo in questo, ma quando mi accorgo che nemmeno quel minimo di rispetto e di riconoscenza che credo di essermi ampiamente meritato mi viene restituito in cambio, io, onestamente, divento una iena.
Difficilmente poi perdono, mi ci vogliono anni, che se non ho fiducia in una persona, io, ho difficoltà a stare nello stesso posto dove è lui.
Poi magari, un pò perchè dopo anni l'incazzatura scema, un pò perchè condividendo amici si è costretti a sedere allo stesso tavolo, ci riprovo a dargli fiducia alle persone, a rilassarmi un minimo in sua presenza.

Poi magari, quando abbassi un minimo la guardia, ti accorgi che chi nasce tondo non ha nessuna voglia di morire quadrato. E che, a un palmo dal culo, è la distanza minima necessaria per un regime di civile convivenza.

Che poi con questo post non ho ne generalizzato, ne estrapolato dal contesto, ma sono rischi del mestiere, quando si pratica la tetrapiloctomia alla buona con un'ora e mezza di sonno e la testa che ti presenta il conto della serata.

martedì 22 dicembre 2009

Cassandra è tornata a casa

Oggi Cassandra è tornata a casa.
Era un pò che era via, è stata male, ma ora è di nuovo qui con me.
Gli era successa una di quelle cose brutte, di quelle che ti spezzano dentro, a Cassandra.
Si vedeva che stava male, quel giorno, non riusciva neanche a camminare dritta senza aiuto e io, che la conosco da tutta la sua vita, l'ho sentito subito che qualcosa dentro di lei si era spezzato.
L'ho portata a farsi curare, ed è stato un viaggio penoso, e cercare di tenerla in piedi tutto il tempo non è stato facile.

Oggi Cassandra è tornata a casa, e sembra che stia bene.
Ha ancora addosso la cicatrice di quel giorno, Cassandra, ma col tempo so che scomparirà.
Gli voglio bene io, a Cassandra, con tutti i suoi casini.

lunedì 21 dicembre 2009

Sodomocinesica 2: Notizie Dal(la) Fronte

E’ un delirio. Piovono alcolici che Dio la manda. Il bancone del locale, è una trincea confortevole, tutti barricati dietro, fra la macchinetta del caffè e la sambuca. Piano d’azione, non pervenuto. Siamo cinque, li fuori è un inferno. I muscoli sono tesi e gli sguardi attenti. Oddio, sto mentendo. I muscoli sono flaccidi e le pance sono tese. Ma il fatto che gli sguardi non siano affatto attenti, può far si che questo particolare, risulti poco. Mi viene in mente quando prendevo per il culo Gianni Morandi che cantava “RATTATTATATA”. Ma adesso la sua chitarra, non suona più ed io, comincio a capire la guerra. E questa, è basata sui sensi, che non essendo vigili, vengono razziati dal nemico, che ne pesca a piena mani, con disinvoltura disarmante.

- Ho una missione per te – urla il capitano di ventura - perlustra la cucina, soldato.

Lui tituba, si turba e tuba, con faccia da piccione, occhi sgranati.

- Perché io? Non ho fame!

- Ma io si, cazzo, vai e non lagnarti.

Il soldato, sa che non tornerà. Anche noi, lo sappiamo. Ma è una vittima sacrificabile, avendo lui la sola capacità di fare il caffè bruciato. Lo saluto, cappello al petto.

- Sei coraggioso, uomo, ora va.

Lui si volta verso di noi, per un ultimo, fugace saluto, mentre i suoi occhi pieni di lacrime scintillano alle luci della vetrinetta di super alcolici.

- Gente stronza come voi, non l’ho mai incontrata. – Queste sono le sue ultime parole di uomo coraggioso e pieno di sentimento per i suoi commilitoni.

Lo vediamo uscire dal bancone ed avviarsi con passo felpato verso la cucina.

Entra dalla porta e lo segue un silenzio di cinque minuti buoni. Poi il grido. Capiamo che è andato.

Uno di noi ha una crisi isterica e comincia a lamentarsi, sottovoce:

- Non sarei mai dovuto venire, non sarei mai dovuto venire!

- Neanche noi, ci aspettavamo di incontrarle. Ma ora è troppo tardi. Siamo qui e dobbiamo ballare. Lo so, ci mangeranno vivi. Sono più svelte, più furbe e meglio armate. Ma noi siamo in superiorità numerica. – gli spiega il capitano di ventura.

- A dire il vero, capitano, ora che ci siamo giocati lui, siamo in numero pari. Forse la sua voglia di supplì, ci ha un poco penalizzati.

Il capitano, che sa fiutare un ammutinamento, tira una bustina di zucchero di canna in testa al tenente. La rivolta, è sedata. Per ora. Sa che è un gesto forte, ma se non avesse agito così, ci saremmo ritrovati a scannarci fra di noi.

Poi, le risate sguaiate, ci gelano l’anima. Eccole, sono tornate all’assalto. Le donne. Hanno invaso il nostro territorio alcolico, ci hanno sparato sorrisi e battute e noi, ora, battiamo in ritirata. Basta uno sguardo e tutti sanno esattamente cosa fare: il segno della croce. Per il resto, gettiamo le speranze alle spalle, e ci apprestiamo, ad essere agnelli nella bocca del lupo.

Schivo un discorso inconcludente, che si infila nel vetro della specchiera. Vedo con orrore, che il capitano, non è altrettanto fortunato. Lo vedo rantolare a terra, innamorato perso. Ora sono io al comando di questa Armata Brancaleone. Si sono portate appresso il cadavere del soldato partito per la cucina. Anche lui, è cotto. Inservibile alla causa. Con un atto eroico, prendo per la collottola i due superstiti e li metto a versare da bere. Se questa è la fine, facciamo che almeno non sia da lucidi. La seconda carica è devastante. Non faccio in tempo a voltarmi, che una risata esplosiva e senza senso, colpisce il tenente. Anche lui, è andato, senza ritorno. Con l’ultimo barlume di coscienza, mi stringe il bavero della camicia e mi sussurra:

- Salutami il cane.

Decido di non dirgli che l’ho investito parcheggiando, stamattina. Siamo solo in due. Guardo il mio sottoposto negli occhi.

- Salviamoci le chiappe, il terreno è perduto.

Ed optiamo per una fuga strategica. Ci muoviamo velocemente, tenendoci il berretto con la testa mentre sopra di noi sibilano discorsi donneschi riguardo borsette e maglioni.

E finalmente siamo fuori.

- Cosa ne sarà di noi, ora?

Rispondo con un silenzio eloquente. Poi rammento:

- Cazzo, le chiavi ce l’ho dentro!

Lo invito, senza troppa educazione, ad una missione suicida, per recuperarmi le chiavi. Forse sono andate tutte al bagno, potrebbe pure salvarsi. Ma a chi cerco di darla a bere?

Va, lui, stoicamente. Aspetto. E aspetto. E aspetto. Perdo le speranze, sto per infilarmi dentro, per non sopravvivere da solo, quando lo vedo spuntare, viso sereno e chiavi alla mano.

- Com’è andata, soldato?

- Capitano, calma piatta sul fronte occipitale.

Come diceva l’antico motto di Lao Tse, il fornaio cinese sotto casa mia: “L’amore, è come un tricipite.”

E prima o poi, devo chiedergli che cazzo significhi.

Fin qui tutto bene

La prima, grande, totalizzante sensazione è il sangue che ricomincia a scorrermi potente nelle vene, riportandomi ad un livello di vita che quasi pensavo non mi appartenesse più.
L'adrenalina che arriva come un fiume in piena e io mi stupisco di come non ho bisogno di nessuno sforzo per trasformarmi nella persona spigliata e espansiva che proprio non sono.
Metto, ma solo per un attimo, l'autopilota, mentre nella testa faccio gran capriole e salti di gioia.
E poi è un ottovolante sotto acido, con la testa e il cuore che vanno su e giù per qualsiasi cosa. E poi momenti, pochi, pochissimi, di lucidità, in cui capisco che differenti occhi vedono cose diverse, e nello specchio della perfezione io non mi ci vedo riflesso.

Poi mi viene in mente questa frase, tratta da L'odio:
« Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio. »

Oggi mi riguarda tanto questa frase, tranne per una piccolissima differenza: io non ho bisogno di farmi coraggio; me la godo la caduta, io, che ho già accettato l'atterraggio.

venerdì 18 dicembre 2009

Scleropatomittenza 4: gli auguri del capo

Ieri ero riuscito a scampare all'orrida sceneggiata, oggi, invece, non c'è stato verso.

Noto con preoccupazione fin dalla mattina che il fastidiosissimo felide già citato qui impartisce tutta eccitata ordini ai suoi succubi, gli fa pulire scrivanie, indossare stupidi cappellini natalizi, imbandire tavole.
Arrivano teglie di pizza, mortadella, mozzarelle, bottiglie di peroni e io, con un moto di disgusto, mi preparo a sopportare l'insopportabile.
Il capo, si, quello che ogni volta che scende nel sottoscala che chiamiamo ufficio non si rilassa se non ha insultato e accusato di nullafacenza e incompetenza almeno un paio di noi, quello che l'altro ieri ti voleva licenziare, quello che ti ha appena fatto sapere che in ferie ci vai punto e basta, e sti gran cavoli che non te le pagano, si, quel gran pezzo d'uomo, si presenta sorridente all'ora di pranzo, ci offende scherzosamente un pochettino e poi, quando sono arrivati tutti, inizia il discorsetto di natale.
E lo fa buonista, il discorsetto, pieno di stima e di speranze di continuare insieme, e di essere tutti una grande famiglia. E a me, che sto alla diplomazia come un vegetariano a una braciolata, un travaso di bile non me lo toglie nessuno.
A migliorare la situazione interviene il Lacchè del capo, che gira con una macchina da 80 mila euro e ha la sola funzione di fare il lacchè del capo, appunto. E ci tiene, e pure parecchio, a precisare quanto è grande il capo, che ci tiene tutti qui, che si sobbarca onori e oneri, più di tutti noi, in questo grande viaggio che facciamo insieme.
E a me, che mi faccio lo straordinario non pagato, e il più grande complimento ricevuto è un "Non capisci un cazzo", mi vien voglia di infilarglieli, onori, oneri e pure un paio di panettoni dove meglio potrebbe comprenderne l'importanza all'uomo che straparla.

Che poi a me il natale piace. Mi piace soprattutto la luce che fa l'albero di natale che ho a casa, mi piace leggere appoggiato al panno verde sul tavolo in salone, mi piace rivedere quel paio di parenti con cui sto bene, ma che, per un motivo o per un'altro, riesco a vedere solo a natale, e ad anni alterni.

Quando il capo nota il panettone, e lo apprezza, che è da intenditori, a me vengono in mente i manager milanesi che ti minacciano da febbraio a dicembre, dicendoti che l'obbiettivo, per loro, è arrivare insieme al panettone. Tanto non è loro il posto a rischio. Raggiungo il mio personale limite e me ne vado, guardatemi pure male. E fottetevi, voi e il natale, che me lo state mandando di traverso.

giovedì 17 dicembre 2009

Stasera @Felt Club

Stasera io e flamio andiamo al felt club a sentire mike, che oltre a curarci la grafica, partecipa alla finale dell'ArteRomaEventi, come batterista dei LUCIDISTORTE.

Se venite, ci vediamo li

Scleropatomittenza 3: Io, che di fantozziano ci terrei ad avere il meno possibile

Dopo il post di ieri me ne torno, quatto quatto, a scrivere di facezie.
Che il blog, almeno io, lo uso per tenere allenata la mente, per fargli prendere strade che normalmente non percorre, per renderla in grado di non assorbire passivamente. Oh, poi se capita, magari ne fate lo stesso uso anche voi, che fra leggere un post di tetrapiloctomia alla buona e guardarsi il grande fratello proprio non c'è paragone.

Oggi, comunque, mi è capitata una cosa che mi ha lasciato un vago senso di straniamento.
Che di solito io lavoro per aziende private, e certe scene non mi sono mai capitate.
Oggi invece, visto che sono finito a lavorare dentro un ministero, sono stato trasportato in una sala riunioni con un ricco buffet, circondato da un sacco di gente con stampato in faccia un sorriso che quello di Berlusconi risulta sincero, con un direttore che faceva un discorso di auguri che non ascoltava nessuno ma che tutti applaudivano.
Ad un certo punto alla mia sinistra c'era il ragionier Filini, alla mia destra la signorina Silvani e, visto che il capo sembrava sempre di più un Megadirettore, io, che di fantozziano ci terrei ad avere il meno possibile, sotto gli sguardi allibiti e parecchio invidiosi di tutti i presenti, me ne sono andato.

Che a essere precari e senza raccomandazioni, alle volte, ci si riesce a togliere soddisfazioni non da poco.

La libertà di scegliere

La libertà, si respira passo passo. E a dirla tutta, non è un’esigenza. Non lo è fintantoché, non la si assimila. C’è chi nasce in gabbia e morirà nella stessa, chiedendosi solo sporadicamente, cosa c’è di fuori. Le nostre gabbie, sono più grandi, spaziose e confortevoli, di quelle del passato. La libertà, si respira passo passo. Convinti, che andando avanti, si potrà emergere, verso un’evoluzione in costante accelerazione, verso la totale padronanza della propria vita, delle proprie azioni. La libertà, si respira passo passo. E allora chiedetevi, cosa non stia andando per il verso giusto. Cazzo, alzatevi, guardate fuori e chiedetevelo. Perché, ciò che sta per succedere, ampiamente spiegato dai post precedenti, non fa parte del respirare. Non è un processo facilmente reversibile. E’ una sottrazione. Un furto, a spese nostre. E qui, non si tratta di barricate, non si tratta di bandiere. Per chi la politica la vive, per chi la suda, per chi la fa, per chi la ritiene solo un peso da portarsi appresso nel quieto vivere, il risultato sarà lo stesso. Ci vogliono togliere lo spazio in questa gabbia, per donarlo a questo fantomatico “fine superiore”. Si è partiti da lontano, mesi fa, era nell’aria, guardatevi qualche servizio di un tg a caso riguardo facebook e simili, prendeteli da youtube, prima che spariscano. E nel filmato, ben coperti, se prestate attenzione, li vedrete lavorare. Lavorare per costruire un muro, nella vostra cazzo di gabbia. C’è da incazzarsi. C’è n’è abbastanza da far incazzare addirittura un Italiano.

Perché la libertà si respira passo passo.

E passo passo, si può smettere di respirare.

Togli all’uomo la possibilità di sapere, e lui accetterà. Toglili la possibilità di comunicare e con certezza saprai, che rinuncerà a dire cento cazzate e a dire quella sacrosanta verità che illumina le cento cazzate prima. E lui accetterà. Perché gli avrete tolto, la possibilità di scegliere.

E cos’è un uomo senza la possibilità di scegliere?

E cos’è un uomo, senza la capacità di scegliere?

mercoledì 16 dicembre 2009

Il post che non avrei mai voluto scrivere

Questo post proprio non lo volevo scrivere.
Questo blog ha tutt'altre finalità, e in certe storie non ce lo vorrei far finire.

Ma poi mi capita di leggere questo, che mi rimanda qui, poi vado a sbattere qui, e su tutta una serie di altri articoli, di quelli che fanno paura.

Che poi l'avevo anche anticipato qui, ma non pensavo la mettessero giù così dura.

Non so, magari sono io che ci tengo troppo alle libertà, a tutte, non solo a quella di plauso. Sarà che traviso tutto, guardando attraverso lo specchio deformato delle mie idiosincrasie.
Ma a me, le velleità autocratiche di una brutta copia di Sileno fanno paura.

Poi continuo a girare, un blog dopo l'altro, un articolo dopo l'altro, la paura sale, la rabbia pure.
Filtri sulla rete.
Daspo per le manifestazioni.
Autorizzazione per il livestreaming su internet.
Tartaglia un pazzo? Ora non ne sono così sicuro, quello che so è che è il pazzo più comodo al regime che abbia mai attentato al regime stesso.
Tartaglia da biasimare? Si, sicuramente, per il male che potrebbe aver procurato ad una democrazia già claudicante.
Un gesto isolato di un pazzo? Forse, o forse ne riparleremo poi, stretti uno accanto all'altro, a Piazzale Loreto.

Intanto, se non l'avete fatto, sbrigatevi ad iscrivervi a questo gruppo qui.

martedì 15 dicembre 2009

Scleropatomittenza 2: Stai a fa er regazzino!

Capita che ti svegli parecchio dopo il suono della sveglia. E ringrazi.
Capita che apri la finestra, pregando per un poco di sole, giusto per non fare troppo tardi, e trovi la pioggia. E ringrazi.
Capita che avvisi in ufficio che farai tardi, ti metti l'impermeabile, esci di casa e scopri che hanno cercato di rubarti la vespa. E ringrazi.
Capita che scopri che, durante il tentativo, probabilmente ti hanno spaccato un pezzo costoso della vespa. E ringrazi.
Capita che, dopo aver avvisato in ufficio che il ritardo sarà più lungo del previsto, ti tocca andare in posta a ritirare una raccomandata. E ringrazi.
Capita che, nella raccomandata, la fiat ti avvisa che sono due anni che vai in giro rischiando di ritrovarti il volante in mano. E ringrazi.
Capita che il tuo meccanico ti dice che, pensa un pò, solo per questa specifica campagna di richiamo, la macchina non te la può sistemare lui, ma devi andare da un concessionario. E ringrazi.
Capita che devi aspettare un'ora alla stazione prima che passi un treno, e di impiegare appena due ore per arrivare in ufficio. E ringrazi.
Capita che, mentre accendi il computer, un collega ti comunica che il capo ti vuole licenziare. E ringrazi.
Capita che queste cose ti succedono in sequenza fra la sveglia e il pranzo, che nel frattempo non sei riuscito nemmeno a prenderti uno schifo di caffè.
E tu ringrazi, perchè sai che mandare a morire ammazzato un immortale e onnipotente burlone non ha nessuna utilità.

Poi però le nubi vengono squarciate da un singolo raggio di sole, e tu, come è giusto, alzi gli occhi al cielo e urli con tutta la tua voce: "E basta,su! Stai a fà er regazzino!".

lunedì 14 dicembre 2009

Vecchi racconti; "Ginevra, la tristezza non sa nuotare".

Tiro fuori un racconto scritto tempo fa ma, credo, mai pubblicato su nessuno dei miei pseudoblogghini fin ora. Quindi, un esclusiva tetropiloctomica, in attesa di avere maggior tempo per scrivere qualcosa di "fresco" (forse già stasera, se riesco).
Buona lettura a chi vorrà.


GINEVRA (la tristezza non sa nuotare)

di Danilo Cipollini

Quando stamattina sono uscita da casa tua, sono andata al mare.

Mi ci hai fatto pensare tu ieri sera, al mare... A cena, prima di fare l’amore, quando mentre mi versavi il vino mi dicevi che da casa tua il mare è vicino, così vicino che quasi lo si può immaginare. Non vedere, no, ma immaginare di vederlo.

E io ti invidiavo.

Non che da casa mia sia poi così lontano, il mare. Sono un po’ più di 30 chilometri e un po’ meno di quaranta, quaranta chilometri di una pista d’asfalto grigio che taglia quasi tutta la nostra città, e dalla mia piazza piena di monumenti e perbenismo arriva al tuo mare, alla tua aria fresca, alla tua salsedine.

Non sono tanti, trenta chilometri, ma da casa tua ci si mette meno di dieci minuti, ad arrivare al mare, e così sono uscita presto, lasciandoti nel letto, nudo e ancora addormentato. Sarei dovuta andare a scuola e invece ho fatto sega, sono salita sul motorino e sono andata al mare.

Le sei, per i pescatori, è già tardi, e infatti quando sono arrivata al molo ce n’era rimasto uno solo che finiva di peparare la barca e teneva a consumarsi una sigaretta stretta fra le labbra.

Ti giuro, non lo so perchè sono andata sul molo... Alla fine, un molo è molto meno mare di quanto lo sia una spiaggia, e visto che era il mare quel che stavo cercando, sarei potuta andare su un tratto qualsiasi di spiaggia là intorno, anzichè su quel segnalibro di cemento che divide in due le pagine della nostra costa. Mi ci hanno portato le gambe, al molo, non la testa.

Il pescatore secondo me era ormai pronto per andare, ma per qualche strana ragione aspettava. Ripeteva sempre gli stessi gesti, controllava negli stessi punti, e non mi guardava con quel modo che hanno di non guardare le persone che vogliono farti sapere che no, non ti stanno guardando. Lui guardava fisso il mare, o le reti, e lasciava al venticello il compito di levargli il fumo della sigaretta da davanti agli occhi.

A quel punto ho deciso di andare da lui, e chiedergli se potevo fargli compagnia sulla barca.

All’inizio sono rimasta un po’ stranita, perchè non s’è scomposto neanche un po’ – e immagino che non siano così frequenti, alle sei di mattina sul molo, diciassettenni carine con la minigonna e i tacchi alti che ti chiedono un passaggio verso il blu – e lui, come se fosse il segnale che aspettava, non s’è neanche girato ma m’ha detto solo “andiamo”.

Non parla molto, il pescatore. Quando gli chiedo perchè, lui dice che tutti i pescatori parlano poco, perchè il mare ti porta via tutto, se non stai attento, anche la voce.

In mare sei solo, lo ripete due o tre volte, e anche se non sei solo, il vento rende difficilissimo sentirsi, quindi tanto vale non parlare.

Esagera un po’, deve piacergli parecchio quest’idea del pescatore solitario. Quindi mi accontento di essere lì e per un po’ sto zitta, anche se il vento oggi non è poi tanto forte e la barca è piccola, penso ci si sentirebbe se parlassimo.

Non gli parlo finchè non ha calato tutta la rete. A quel punto spegne il motore e la barca si ferma, la terra lontana alle spalle, intorno tutto blu e arancione, nel cielo, del sole che esplode in un mattino lucido.

Tanto lucido che guardare in su inizia a farmi male, tiro fuori il libro dalla borsa e inizio a leggere.

Quando sento che i suoi occhi mi si sono posati addosso, alzo lo sgaurdo pure io e gli chiedo se vuole che legga ad alta voce. Per un attimo temo che ricominci con la storia del vento che ti rende solo, ma invece lui sorride per la prima volta e fa cenno di si con la testa.

Per un po’ stiamo così, lui a prua, con la gamba poggiata al bordo della barca e una sigaretta dietro l’altra in bocca, e io a poppa, a gambe incrociate, che mi sistemo la gonna e leggo.

Ogni tanto mi fermo e lo guardo, solo per qualche secondo, ricomincio sempre a leggere prima che lui se ne accorga.

E’ meno vecchio di quanto può sembrare all’inizio. Ha la pelle cotta dal sole, questo si, ed è pieno di rughe in cui il sole si infila e si lascia scivolare,come fosse liquido. Rughe profonde ripiene di sole.

Ha occhi verdi, e una bella barba bianca, gonfia, come quella del marinaio dei surgelati.

Mi fermo un po’ troppo a guardarlo e allora lui scrolla via la cenere dalla sigaretta e mi chiede che fine abbia fatto, poi, la puttana coi capelli neri e il vestito troppo corto di cui sto leggendo.

Ricomincio a leggere, e lui sorride.

Ogni tanto mi fermo qualche secondo a guardare i gabbiani.

Recupera le reti, ti risparmio i dettagli, magari un giorno te li racconterò.

Ti dico solo che quando stavo risalendo sul motorino per tornare a casa mi sono tornate in mente le ultime scene che avevo lasciato, uscendo, la sera precedente.

Mio padre che urlava.

Mia madre che faceva le valigie, di nuovo.

Il figlio neonato della vicina che piangeva a dirotto.

Il mendicante davanti al portone che si lavava i resti delle scarpe ad una fontanella, a pochi metri i vigili urbani che facevano le multe, un turista giapponese che gli scattava le foto.

E non c’è stato niente da fare, la tristezza mi ha ripreso, è un maratoneta instancabile, la tristezza, puoi superarla, staccarla sullo scatto, bruciarla in partenza se corri veloce, ma lei ti seguirà, ti starà alle calcagna, aspetterà che tu ti stanchi e poi ti prenderà, alle spalle, da traditrice, e non ti lascerà scampo.

Come i gabbiani che avevo visto quel giorno, in mare, che ci hanno segutio fin dal porto, e hanno aspettato, volteggiando, che ritirassimo le reti, per poi buttarsi in picchiata e rubare qualche pesce. Ci hanno aspettato quasi dieci ore, ma alla fine l’hanno spuntata.

Avrei voluto non andare a casa. Magari tornare da te. Ma sapevo che non era possibile, perchè ormai tua moglie era tornata, e a casa tua non potevo venire.

M’ero rassegnata alla mia tristezza, ma poi m’è venuto in mente che quel giorno non ero stata sempre triste.

Quella mattina, quando il pescatore mi aveva detto “andiamo”, ero stata incredibilmente felice.

E tutto il giorno, mentre ero in mare, ero stata completamente felice.

Forse la tristezza non sa nuotare, per questo in mare non m’ha seguito.

Ho finito la sigaretta, di corsa, sono rimontata sul motorino e sono tornata a casa in tempo per la cena.

Vorrei ringraziarti perchè è grazie a te se stamattina sono venuta qui sul mare, e per qualche ora sono stata felice.

Sarebbe bello se tu potessi leggere questa lettera. La affido al mare, tanto tu ci vieni spesso, se sarà destino te la porterà lui. Altrimenti, la leggeranno i pesci, o un vecchio pescatore con le rughe e la barba bianca.

Non la rileggo, spero abbia un senso.

Ti bacio,

Ginevra.


30 aprile 1993

Ieri, per un momento, ho pensato al 30 aprile 1993.
Strano, veramente strano, per quel giorno li, io, guardavo i cartoni animati, e di certe cose non mi interessavo minimamente.
Strano, ho pensato, l'utilizzo di un simile oggetto. Chissà perchè? Cosa rappresenta?
Strano, ho pensato, un solo singolo oggetto e non, che so, un migliaio di monetine. Poi c'ho pensato su un attimo, e le monete da 5 centesimi non fanno male, e con i tempi che corrono lanciare monete da un euro se lo possono permettere in pochi.
Strano, ho pensato, di tanti momenti buoni per far esplodere la rabbia, perchè in un'occasione così, abbastanza priva di significato.
Strano, ho pensato, agli italiani sono rispuntati i coglioni molto prima del previsto.

Poi, con calma, apprendo la versione di regime della notizia, anche abbastanza plausibile.
E ce lo faranno pagare, sicuro che ce la faranno pagare caro, questo folle gesto di leggittimo rancore.

venerdì 11 dicembre 2009

Scleropatomittenza 1: sui gatti e i motivi personali

Avete presente quella piacevolissima sensazione, si, proprio quella li, di ritrovarsi un simpatico felide domestico che ti si dondola aggrappato proprio in mezzo alle gambe? Si? Immaginate che questo felide dalle pessime abitudini stia li, otto ore al giorno, cinque giorni a settimana, da un paio di stagioni a dondolarsi aggrappato ai tuoi gingilli.
Vi capiterà, magari di lunedì mattina dopo la cazziata del capo prima del caffè, o di venerdì alle sei dopo che lo stesso capo vi chiede se potete restare un paio d'ore in più, che al suddetto micio, che visto che ha gran senso dell'umorismo vi sta pure perculando, avreste voglia di tirare in faccia la prima sedia che trovare, o no?
E se, per puro caso, il pulciosissimo felide sia stato caldamente raccomandato da qualcuno così in alto, ma così in alto che più in alto ci sono, facendo un calcolo approssimativo, meno di due persone all'interno dei patrii confini? Si, gli fai due carezze e preghi che non gli rinnovino il contratto.
E, fuori da qualsiasi discorso politico, ti accorgi di avere dei motivi PERSONALI per auspicare una rapida e rovinosissima caduta del governo.

Tra l'altro il blog oggi compie una settimana, e per festeggiare il lieto evento si pavoneggia dei suoi primi cento visitatori

Poziosezione 1: E' il feedback, a (s)fottermi la precisione

La chitarra è sgraziata e si definisce sulle casse gracchiando, il basso scivola, invece, sulla vaselina. Logisticamente, sono disposto per errore sulla vanità di questa frequenza. Si, chitarra (e qui bestemmio). No, non basso, chitarra. Quindi niente vaselina, mi tocca entrare spettinato e non chiedere il permesso. Quindi non scivolo sugli eventi, ma ci ruzzolo sopra, mi grattugio il culo, mi sbuccio un ginocchio (e si, ci bestemmio, che nemmeno abbiamo incominciato e siamo a due). Quindi, è il modo di affrontare le opposizioni, che cambia. Partendo dal presupposto che tutto quel che avviene era in cantiere da tempo ed aspettava solo di essere inaugurato in un bagno di applausi, partendo proprio da questo assioma, concludiamo che non sono preparato. Provo a giustificarmi, avvio un dibattito e tiro in mezzo scuse plausibili ed altre, che francamente sfiorano il cattivo gusto. Niente da fare, scrivo con le mie stesse mani “due” sul registro e mi rimando a sedere. Sperando che non faccia media. Dalla mia, ho da dire, che sono chitarra. Che le scale non le conosco e vado ad orecchio, che mi lascio trascinare sugli armonici e sferzo su ventidue, ventitre tasti, per numero corde sei, solamente per istinto. E se non hai i calli sulle dita, Bionda, rischi pure di farti male. Ma allora, qual è il punto (?), ve lo starete senz’altro chiedendo. La situazione è più o meno questa, ma c’è altro, però lo ammetto, essere inconcludente, mi riesce bene. Eppure, parto sempre di slancio, coltello alla mano, funk in tappeto e affondo. E poi, il brodo, fa la sua parte. Ti da l’idea che stai li per separarlo, per dividerlo definitivamente, e poi, ti lascia ad imprecare. Ed ora se avete capito, sono solo problemi vostri. La lama è entrata, l’avete vista, per il resto, la colpa è del brodo. Ho provato a dirvi cos’è la morale. Non di questa storia, ma più in generale, la morale di tutte le morali. Ve l’ho spiegata minuziosamente, molecola per molecola. E se l’avete capita, sono solo fottutissimi problemi vostri. Sappiate, però che la cosa l’ho affrontata, la sto affrontando e con tutta probabilità, continuerò ad affrontarla. Così come sono, da chitarra sgraziata.

giovedì 10 dicembre 2009

Di cose da dirvi, sicuramente, ce ne sono

Di cose da dirvi, sicuramente, ce ne sono, solo che...
...solo che di alcune cose ancora non voglio parlare, che non sono chiare e quindi per il momento aspetto.
...solo che di alcune cose non credo possiate avere interesse, e se ne avete probabilmente ne discuteremo a breve guardandoci in faccia.
...solo che alcune cose ancora non sono pronte a uscire a far danni da sole, ma un gran racconto sta nascendo, e sarà il primo che scrivo solo per voi. (che poi io, di racconti, non è che ne abbia scritti questa gran quantità, ma sono tutti di quando questo blog qua ancora non esisteva)

Di cose da dirvi, comunque, qualcuna ne ho, tipo...
...la grafica, lo avrete notato, traballa un pò. Mike ci sta lavorando su, ma giustamente anche lui ha altro da fare.
...i degni compari con cui ho intrapreso questa avventura al momento latitano un poco, entrambi, a modo loro, a ragione, ma sono sicuro che torneranno.
...ho in mente questa storia, fantastica, con dei protagonisti di quelli che raramente, ringraziando il cielo, riesci a incontrare. Mi sono convinto che, un post dopo l'altro, questa storia la regalo a voi.

Di cose da dirvi, almeno per ora, non ce ne sono più...
...quindi, per ora, ciao

mercoledì 9 dicembre 2009

Idrogrammatologia 2: luce troppo forte è un buio al contrario

Sia il buio che una luce troppo intensa rendono impossibile vedere.
Pensate a quando vi svegliate la mattina e aprite la finestra, o quando ad un concerto vi puntano in faccia l'occhio di bue. Siete circondati dalla luce, tutto appare più nitido e chiaro a tutti, tranne che a voi, che avete la vista satura di luce. Vi basta aspettare giusto l'attimo che serve ai vostri occhi per abituarsi alla luce del mattino, o fare un passo più in la, fuori dal cono di luce del faro per riuscire a vedere di nuovo.

La vita è uguale, siamo bombardati da problemi e situazioni che ottundono la nostra capacità di giudizio, che ci rendono temporaneamente totalmente ciechi.
Il bello è che accanto a noi c'è sempre qualcuno che si è svegliato un minuto prima, o che si tiene fuori dal cono di luce del faro, che ci tende la mano per evitare di farci andare a sbattere a destra e a manca, solo che noi, ciechi come siamo, queste gran persone non le vediamo mai.

lunedì 7 dicembre 2009

Sodomocinesica: Lavorare stucca

Lavoro: sanitario. C’è merda da ingoiare.

Lavoro: santuario. Abbi fede.

Lavoro: saltuario. Amen, porca di quella troia, amen.

domenica 6 dicembre 2009

Idrogrammatologia 1: L'esibizionismo nella sua forma definitiva

Mi sono scoperto, pare, a farne una marea di questi pensieri, valevoli quel tanto che basta per essere enunciati di fronte ad una platea di affezionati di bevande a base d'orzo fermentato a sera inoltrata, ma non in grado di assurgere ad una più nobile e duratura forma di espressione.
Capità però che io a questi pensieri un poco malandati mi ci affezioni alle volte, e, non trovando altro posto dove scriverli, di solito li scrivo nel bicchiere di birra che ho in mano. E guardate che a scrivere sulle superfici liquide ci vuole una tecnica non da poco.
Tutto questo giro di parole solo per dirvi che, visto che siamo su un blog attivissimo, ci prendiamo pure il lusso di inaugurare le rubriche nei giorni festivi. E ora finalmente, il post.


Se ci si pensa su un attimo, nemmeno troppi anni fa, poi dipende dall'età, che a me neanche mi pensavano quando succedeva, ma basta spostarsi appena un attimo verso oriente che ancora gira così, dicevo, vedere una ragazza che ti mostrava il ginocchio in pubblico faceva girare la testa. Ora, visto che all'ora di cena la stessa ragazza si agita sullo schermo con addosso tanta stoffa da non farci una cravatta, per noi poveri esibizionisti sono tempi duri, che anche ad andare al parco con l'impermeabile a mostrare le proprie qualità suscita al massimo un'alzata di spalle.
Ed è per questo che finiamo qui, senza una faccia e spesso senza nemmeno un nome, a praticare la forma più estrema e definitiva di esibizionismo.
Perchè qui, signori, ci si spoglia anche della pelle, e si esibiscono i pensieri

La domenica è un venerdì arrivato tardi. Riassumendo:

Suona la campanella. Sicuramente, non risulterò mai presente prima della seconda ora. La sveglia deve aver strillato per due giorni, o giù di li. L’ho insultata ed ho bestemmiato da sotto il caldo delle coperte, è stata una lotta alla pari, non ha vinto nessuno dei due. Neanche il tempo di alzarsi, che è già stomaco su per la colonna vertebrale, che cerca risalire E’ così da un po’. Ad avere buon senso, mi volterei, scivolerei lungo il cerchio, in direzione antioraria, osserverei la settimana passata, traccerei una linea e dedurrei che il prossimo passo, sarà sullo stesso sentiero sterrato. Ma ho un inquilino indesiderato che vorrebbe uscire dai piani bassi, una buona dose di succhi gastrici che bussano alla gola ed una discreta erezione mattutina. Quindi, caro il mio buon senso, aspettami fuori, che io bevo un caffè, mi accendo una Camel Blu e da pessimo amministratore di condominio quale sono, attenderò che almeno un paio di cose se ne vadano, per poterne affrontare una sola con tutta la dovuta calma. Se d’ora in poi sarò puntuale? Anche io credo nella circolarità delle cose. Per questo, mi convinco che non sono in ritardo di due o tre giorni, ma in anticipo di quasi una vita.

sabato 5 dicembre 2009

Sintomi di perfezione

Questa è una cosa che ho scritto qualche mese fa, colto da improvvisa ispirazione, discostandomi dalla realtà solo quel tanto che basta per renderla interessante. E ora ecco a voi

Sintomi di perfezione

    "Ciao, rispondermi, magari anche solo con una battuta per sdrammatizzare, sarebbe stato quantomeno educato.
Ti Saluto."

    "Ciao.
    Lo so, avrei dovuto risponderti, ma se non l'ho fatto credimi, ho avuto i miei motivi.
    Tu sei stata gentilissima a rispondermi, anche se è stato per rifiutare il mio invito, e a spiegarmene i motivi. Il fatto è che io non sono proprio il tipo di persona che, su certe cose, punta a mettere la classica 'tacca' sul calcio della pistola. Ti spiego, che forse è meglio.
    M’interessi parecchio o, meglio, sono convinto che potresti interessarmi parecchio, perchè alla fin fine sono anni che c’incontriamo, ma non c’è mai successo di fermarci un attimo e parlare veramente. Ecco, questo mio interesse nei tuoi confronti, in un'eventuale nostra conversazione, anche solo epistolare come in questo caso, genererebbe in me un contrasto non da poco.
    Da una parte cercherei di conquistarti, di strapparti a quest’uomo che non ho mai visto, e di cui non so nemmeno il nome. Solo che io mi porto dietro quest’enorme zavorra di etica, molto in contrasto con quelli che sono poi i naturali istinti di un uomo, e questo mio tentativo di rubarti ad un'altro lo giudicherei deplorevole e cercherei di contrastarlo in tutti i modi.
    Dall'altra parte, proprio in virtù della mia scarsa attitudine alla ricerca della 'tacca' di cui ti dicevo prima, l'interesse che provo, o proverei, nei tuoi confronti non è meramente fisico ma anche, e oserei dire soprattutto, di tipo intellettuale. La possibilità di conoscerti più profondamente, di avere con te un rapporto di tipo esclusivamente intellettuale, ha, non posso negarlo, le sue attrattive. Ma, perchè anche in questo caso c'è un ma, un rapporto di tipo esclusivamente intellettuale mi priverebbe di quella componente fisica che i miei istinti, al momento, suggeriscono io desideri enormemente.
    Quindi, in virtù di questo duplice contrasto, la nostra conversazione ti mostrerebbe una mia sensibilità che, per quanto presente, è diretta in tutta altra direzione rispetto a quella che potrebbe apparire. Questa sensibilità, unita al fatto che, almeno spero, la mia persona non sia priva di attrattive, ti spingerebbe inevitabilmente a cercare un legame con me.
    Potresti cercare un'amicizia, e io mi ritroverei relegato nel ruolo, odioso, svilente e parecchio frustrante, dell'amico innamorato e senza speranza, ruolo che mi risucchierebbe tempo ed energie, ripagandomi solo col misero salario di una speranza obbiettivamente infondata.
    Potresti cercare un rapporto più completo, saltando dal letto della persona che ora frequenti al mio, o alternandoti, più convenientemente, fra i due. E io perderei ovviamente stima e fiducia nei tuoi confronti, e sarei quindi costretto ad allontanarti.
    In entrambi i casi quindi non riuscirei ad ottenere quel rapporto che, con il mio invito dell'altra sera, ti ho dimostrato desiderare e, anzi, andrei incontro ad una sofferenza non necessaria. Per questo, proprio per evitare questo meccanismo di comportamenti così profondamente radicato nella mia personalità, che oltretutto si è già messo in opera facendomi scrivere questa lettera, la cui brutale onestà sicuramente non era necessaria, per questo motivo, dicevo, ho deciso di non risponderti.
    Chiedendoti di rispettare questa mia decisione, ti saluto."

    "Ciao, come stai?
    Anche se non sembra, visto che ti sto scrivendo, ho rispettato la tua decisione.
    Con lui è finita, sembrava chissà che e poi alla fine si è rivelato solo parole vuote.
    È ancora valido l'invito ad uscire? So che sembra che ti usi come un ripiego, ma ti giuro che non è così!"

    "Si, l'invito è ancora valido e no, non mi sento un ripiego.
    Anzi, questo tuo vivere appieno la storia che stavi vivendo e, solo poi, cercare una persona che, in un momento non proprio opportuno, ha attirato la tua attenzione, ecco, questo tuo modo di fare è per me la riprova del tuo essere la persona interessante che io penso tu sia.
    Forse corro un rischio, nell'entrare nella tua vita proprio ora, che una storia, per quanto breve, sicuramente ha lasciato dei segni ancora evidenti; forse corro il rischio che l'ombra di questa storia passata si frapponga fra noi e il nostro futuro, ma è un rischio, credimi, che corro volentieri.
    E quindi io sono qui, quando vuoi, pronto ad iniziare questo nostro futuro."
   
    "Se sei libero il nostro futuro lo iniziamo stasera. Ti aspetto da me per le dieci?"

    "Lo so, non è questo il modo in cui andrebbe fatto, ma stamattina mi sono svegliato e tu eri già andata via, e visto che non è che avessi granché da fare mi sono messo a pensare un poco, e questo è quel che ne è risultato.
    Non fraintendermi, ti prego, e non pensare male di me.
    Tu sei fantastica, ti giuro, sei una persona interessantissima, poliedrica, e passerei la vita ad ascoltare le tue opinioni, a capire le battaglie che porti avanti. E non è nemmeno il resto, adoro come fai l'amore, magari fai attenzione con le unghie, che credo che porterò per sempre sulla schiena le cicatrici della tua passione. Non c'è niente che non apprezzi in te, anzi, tu hai evidenti sintomi di perfezione. Solo, mi sono accorto, non c'è nulla in te che io possa amare.
    Per questo, chiedendoti di perdonarmi, e di capire la mia decisione, ti dico addio."

...si, comunque, avrei da dirvi due cose

Giusto perchè sono una persona organizzata, ma di quelle metodiche e scrupolose fino all'inverosimile, lancio una comunicazione di servizio leggermente in ritardo.

Su questo blogghe non scrivo solo io, che spaccare il capello in quattro è un'arte complicata anche se fatta alla buona. Per questo ho chiesto aiuto a diverse figure semimitologiche parecchio asimmetriche, ma con una discreta capacità di mettere parole in fila.

Sia ben chiaro, qui nessuno ha il controllo di niente, ne io ne gli altri sanno cosa scriveremo, che ognuno qui se la prende col capello a modo suo.

venerdì 4 dicembre 2009

Venerdi, a ognuno il riassunto che si merita.

A ognuno il riassunto che si merita. Il mio è cominciato con un grande schiocco, un battito di mani, che mi ha riportato alla vita dopo poche ore a bagno nel nero del sonno. Nella bocca l'odore di bruciato dell'ultimo sigaro della notte prima, fumo troppo ultimamente, dovrei smettere, non lo farò. Poi il lavoro, poi la scoperta di aver flashato, e adesso la boxe, e un'altra serata che diventa nottata, e altri millemila sigari, e poi di nuovo poche ore nel nero.

Dice Theta - dice, lui - che il Venerdì è un riassunto al contrario, che ci leggi dentro tutta la tua settimana. Dice.

Se guardo il mio riassunto vedo che non ci si vede chiaro.
Quindi, esattamente come la mia settimana.
Come gli ultimi mesi.
Come gli ultimi miei anni.
Come la mia vita.

Dovrei smetterla, coi sigari.
Sono nato che non fumavo. Ho iniziato a fumare a 19 anni.
Smetterò, credo, esattamente 19 anni prima di morire.
Perchè ci credo fermamente, anche io, nella circolarità delle cose.

Il venerdì è un riassunto al contrario

Il venerdì è un riassunto al contrario, giusto appena un pò più intenso dell'argomento riassunto.
Ti svegli, e hai lo stress che ti monta addosso, stacchi dall'ufficio e ti godi quell'attimo di rilassatezza che preannuncia la serata, e poi la sera usi colpi scorretti contro il tuo fegato.
Il sabato usi colpi scorretti contro il tuo fegato, la domenica cerchi un poco di rilassatezza dopo la serata passata, e poi per quattro giorni senti lo stress che ti monta addosso.

Un pensiero di senso compiuto almeno adesso c'è, e secondo me contiene al suo interno pure tutta la filosofia del blogghe, e non è male, visto che l'ho concepito in mezza sigaretta prima di iniziare a prendermela col fegato.

Che poi ci credo fermamente, io, nella circolarità delle cose.

..si, comunque, ciao a tutti!

A far le cose come si deve ora dovrei forse presentare me, magari le mie motivazioni per stare qui e, perchè no, anche la linea editoriale di questo blog.
Ma a far le cose fatte bene finirei sul banale dal primo post e, visto che sono una persona che fa parecchia attenzione nel leggere i segni, me lo evito, che questo blog deve partire sotto i migliori auspici.
Che poi io al momento, visto che è venerdì e che la 'No alcool week' pronosticata al ritorno da Barcellona è miseramente fallita, avrei l'elettroencefalogramma leggerissimamente piatto, e grossi discorsi proprio non riesco a farli.

Quindi questo post beccatevelo così che io intanto prometto, dal prossimo, di risultare più interessante.