sabato 30 gennaio 2010

Il Pangocciolo del Perdono (sedicente racconto)

Il Pangocciolo del Perdono
di Danilo Cipollini

[dedicato al Nano]



Prendi Caino e Abele. Non che fossero due cattivi ragazzi. Abele poi… un pezzo di pane. Ma nemmeno Caino era poi così stronzo. Solo che… non s’affiatavano, per così dire. Non c’era alchimia.
Comitive diverse, mettiamola così.
Me li immagino. Abele col giacchettino di jeans e il berretto da baseball. Che aiuta le vecchiette a attraversare e va a fare la spesa alla mamma. Cose così.
Caino invece col chiodo di pelle addosso. Gli occhiali specchiati. Col motorino modificato, quello che fa rumore tipo CBR quando lo accendi. Però no un cattivo ragazzo… Solo un tipo un po’ così, ombroso ecco.
Poi litigano, e Caino accoppa Abele.
Va a capire perché, ma litigano. C’è chi dice storie di eredità, io non c’ho mai creduto.
No, se devo dire la mia, magari la cosa sta un po’ più a fondo. Perché spesso, certe alchimie, si falsano per colpa di altre persone. Quelle fra due fratelli, per colpa dei genitori. Spesso.
Crescici tu con l’idea che “l’altro” è meglio di te, sempre, comunque.
Puoi provare a accettarlo, forse, se non è tuo fratello…e questo per almeno due motivi. Primo, puoi dare la colpa alla genetica. Secondo, non ce l’hai sempre sotto gli occhi.
Ma campaci tu con uno nelle orecchie che ti dice, tutti i giorni, tutto il giorno: “Guarda Abele quanto è bravo. Abele studia. Abele lavora. Abele non torna tardi la sera. Abele da gli esami all’università, Abele non si fa le canne, Abele è sempre il primo della classe, il primo della lista, il primo della fila, il Primo Levi (solo se si è ebrei, e Caino e Abele lo erano quindi ci sta).
Campaci tu con una sfiga del genere, con la sfortuna immensa di mangiare pane e nutella, ogni cazzo di pomeriggio della tua vita, con un semidio. La perfezione. Ti batte pure alla playstation, lo stronzo.
E il pane e nutella diventa una crostata al gusto di marmellata di dotto biliare.

Non riesco a rendere l’idea. Ci provo con una metafora.
Se tu sei un pianeta, tuo padre e tua madre che t’hanno generato sono il cosmo. E per quanto mite tu voglia essere, un po’ ci speri che quel cosmo ti giri tutto intorno per sempre. Che ti fornisca le stelle da far brillare nel tuo cielo, di notte.
Se sei sfigato, il tuo cosmo fa schifo, e non ha stelle. Fuor di metafora, capita di avere due genitori di merda. I genitori non te li scegli, capitano. Becchi quelli senza stelle… Amico, hai pescato la pagliuzza più corta al gioco della vita.
Ma se sei VERAMENTE sfigato, il tuo è un cosmo da paura. Ma gira intorno al pianeta accanto al tuo. Su di lui addensa una Via Lattea che da sola basterebbe a far venire un’erezione atomica a Piero e Alberto Angela (due con un colpo). Su di te, scarica un paio di stelline asfittiche che non illuminano un cazzo. E già che c’è, questo cosmo dimmerda ti fa anche notare che l’altro pianeta… Gira meglio. Ha belle foreste. Laghi limpidissimi. E un ampio parcheggio all’ingresso.
Ecco secondo me fra Caino e Abele è andata così. Ed è la storia comune di molti fratelli. Dio solo sa quante alchimie potevano nascere e invece… Ciccia. Finisce a badilate.
Prendi Caino e Abele. Mettili sotto la pioggia, un venerdì sera. Con sulle spalle una giornata difficile. Una serata peggio. Mettili un po’ a parlare, mezz’ora, tre quarti d’ora, sotto la pioggia. A cercare con difficoltà un alchimia, cosmo permettendo.
Mica facile, la vita.
Ci provano, ma non ci riescono tanto bene. Qualche stella se la ridistribuiscono, qualcosa la risolvono pure, sono gente di buona volontà.
Ma lo senti, quando rientrano nella loro cameretta tre metri per tre e si infilano i pigiami, che non sono proprio soddisfatti. Perché quell’alchimia che vogliono,tutti e due, certe volte va proprio a farsi fottere.
Al meglio che può andare, può capitare che uno dei due vada un attimo in cucina e peschi dalla credenza una merendina. Un Pangocciolo. Cristo, ve lo vorrei disegnare, il Pangocciolo. Magari voi non sapete nemmeno com’è fatto. Beh sembra un po’ un cosmo, un cosmo di pane, morbido, pieno di gocce di cioccolata.
Uno dei due ne prende due dalla scatola, torna in camera, e ne passa uno al fratello.
Ci sarebbe da dire che quel Pangocciolo è un esempio eccellente di alchimie difficili… Pane e cioccolato, di loro sono materie distanti. Fisicamente distanti, tanto che di norma, per accoppiarli, devi ricorrere a aberrazioni tipo la Nutella, ovvero snaturare il cioccolato pur di poterlo avvicinare al pane, poterlo legare.
E’ un’alchimia difficile.
Ma il Pangocciolo ce la fa. Li unisce, e bene. Li unisce tanto bene che sfumano, si confondono, e non capisci dove finisce il pane e dove inizia la goccia di cioccolato.
Il Pangocciolo del Perdono. Forse quell’alchimia sarebbe più semplice se si potesse spiegare così. Col Pangocciolo.
Ma non si può. O almeno, mentre ti porgo il mio Pangocciolo del Perdono non ti dico un cazzo.
Magari te lo scrivo, poi.

venerdì 29 gennaio 2010

Sciamani 3 di 5: per stupirti e sperare di ritrovarti cambiato nella luce del mattino



Siccome l'uomo che ti accompagna non decide di stupirti se anche accade, su questo blocco di vetro e lamiera che ti traghetta attraverso l'Appennino, qualcosa degno di essere ricordato o di prendervi parte, tu ne sei tagliato fuori, e accogli con un senso di liberazione le porte del bus che si aprono, alle nove passate, proprio di fronte alla discoteca che, in anni che non ti sono appartenuti, portava il nome semimitologico di Studio 54.
Il panino con la cotoletta nel parcheggio antistante l'entrata ti fa rimpiangere il peggiore dei paninari capitolini, e la cosa rancida chiamata piadina che il tuo compare sta cercando di mangiare la fame te la fa passare completamente. Per qualche strana normativa locale o accordo con la discoteca, il paninaro latino-americano di fronte a te proprio non può servire alcolici, e così la birra che sogni da forse un paio d'ore e che saresti disposto a pagare un prezzo al limite del criminale deve essere rimandata.
Approfitti dell'attesa prima di entrare, che di una buona chiacchierata ancora proprio non se ne parla, per osservare questo scampolo variopinto d’umanità che ti circonda, cosciente che una simile situazione difficilmente ti si ripresenterà più di altre quattro o cinque volte prima del termine della tua vita. Ci sono chiassosi danzatori partenopei e romani, ragazze con il dolce accento toscano e persone il cui accento, che non ti è dato sopportare, identifica come milanesi. Stupisci a non veder spuntare da nessuna parte la bandiera dei quattro mori, onnipresente ad ogni manifestazione nazionale, politica o musicale che sia, in cui almeno una parte dei partecipanti provenga da una provincia diversa da quella in cui si svolge. In fondo te lo sei sempre chiesto per quale motivo questa popolazione orgogliosa e testarda, che identifica come "il continente" le terre al di fuori dei confini della propria isola, viaggi così tanto.
Lo stile, noti, nella sua eterogeneità di fondo è simile a se stesso in ogni zona della penisola, e solo dall'accento riesci distinguere la provenienza delle varie persone. Ti perdi per quella che forse è un'ora ad osservare i dettagli irrinunciabili sfoggiati dall'enorme quantità di ragazze presenti, quantità che tu, abituato a serate di tutt'altro genere, proprio non sei uso vedere. Ti piace, quello che vedi, e buone vibrazioni ti attraversano la testa, riempiendoti d’aspettativa per la serata che ti aspetta.

La discoteca è l'edificio più bello in cui ti è mai capitato di ballare, e descriverla in seguito è una cosa che sei sicuro non farai mai, certo che andrebbe perso il significato più profondo di quello che stai vedendo, e di come lo stai assorbendo con gli occhi e con la pelle. Siccome di persone non ne sono entrate ancora abbastanza decidete di non buttarvi a ballare subito, danzatori parecchio asimmetrici e incerti come ancora siete, senza l'alcol a lubrificarvi i pensieri e le giunture. Il bicchiere di ghiaccio spruzzato di rum che la barista pretende di chiamare cocktail decide per voi che stasera berrete birra, mentre sedete su un divanetto intenti ad assorbire i bassi violenti sparati fuori dall'impianto più costoso mai visto in una struttura di cemento predisposta al ballo.
Dal punto più o meno strategico da voi scelto per sedervi osservi le persone che entrano, e ti innamori almeno un paio di secondi di quasi tutte le ragazze che varcano l'ingresso. Vedi anche il quartetto di rapaci travestiti da giovani donne varcare l'ingresso, dirigersi decise verso i bagni e uscirne, qualche minuto dopo, trasformate negli abiti e nell'aspetto. E, come è giusto che sia, incroci ancora una volta il suo sguardo, e la realtà prende qualche istante di pausa, giusto per dare alle vostre anime il tempo di comunicare quello che, con tanti metri e suoni e luci e persone a frapporsi fra voi, altrimenti non potrebbero comunicarsi.
<>
<>
<>
<>
<>
<>

Balli, bevi, ti riposi, balli ancora, osservi tutto quello che ti circonda, ti estranei da tutto seguendo il ritmo potente proposto dai dj che si alternano in consolle, fumi, bevi ancora, balli, sudi. In tutto questo, silenzioso come ora è giusto che sia, il tuo amico t’imita, ti segue, ti anticipa; ti stupisce addirittura, estraendo dal cilindro riserve di energia inaspettate, tenute nascoste chissà dove. Tu balli fino ad arrivare al limite, poi lo superi, e continui a ballare per partito preso.
Le ragazze si fanno dipingere la pelle, da un artista piazzato accanto ai bagni, motivi tribali o floreali, con colori che risplendono sotto le luci al mercurio.
Ti lasci innamorare un pò di una ragazzina appena diciottenne in canottiera e calzoncini da basket verde acido, con un viso da bambola deturpato da due innesti di metallo sul labbro superiore. Ma questa notte è elettrica e lisergica, e tu ti lasci trasportare piuttosto che dominarla, cercando di perderti completamente, per stupirti e sperare di ritrovarti cambiato nella luce del mattino.
V’incontrate in pista decine di volte, te e la ragazza selvatica e indipendente con la cui anima hai parlato, ballate affiancati consapevoli in un modo a te nuovo l'uno della presenza dell'altra, vi staccate decine di volte, strappati l'uno all'altra da compagni privi di rispetto e di tempismo, vi cercate, vi trovate, vi sfiorate, e vi perdete ancora.
La sua amica, la bella seduttrice, inscena per te un'intera storia d'amore nell'arco di una notte, innamorandosi di un ragazzo di passaggio, corteggiandolo, conquistandolo, amandolo, sparendo con lui. Ricomparendo, dopo un paio d'ore, litigando furiosamente con lui, pregandolo, inginocchiandosi in lacrime di fronte a lui, lasciandolo. Tornandoci insieme ad un'ora dall'alba, dormendo con lui sui divani dell'Altromondo il sonno di chi ama.

giovedì 28 gennaio 2010

Sciamani 2 di 5: e loro emergono dalla foschia uno ad uno




Il tuo compagno di viaggio non smentisce nemmeno un pò la solida struttura della sua personalità, schiacciandoti fra il finestrino e lui, tagliandoti fuori da tutto quello che potrebbe succederti intorno e, mentre tu godi della visione della striscia continua di metallo opaco che delimita la carreggiata lungo l'autostrada che attraversa l'Appennino lui un pò sonnecchia, un pò si infastidisce per l'euforia che vi circonda e, soprattutto, blocca, con una maestria che è solo sua, ogni tuo tentativo di intavolare un discorso per far passare prima il breve tempo di questo viaggio. Adesso ti scoccia pure parecchio questa sua personalità poco espansiva, ma fra un paio di settimane, con il culo e la schiena sudati a contatto con la sedia girevole grigio topo del tuo ufficio, con il ronzio del condizionatore e delle ventole dei computer che ti trapanano il cervello, vorrai barattare volentieri per due o tre mesi della sua compagnia una mezza giornata a sentire che il tempo che vendi al tuo datore di lavoro non te lo restituirà nessuno.
Dal fondo del pullman, da dove viene un odore agghiacciante di barbone e sigarette farcite, emerge un mezzo eroe rastafari vagamente instabile sulle gambe che impugna un disco compatto, che a voi, che dovete attraversare l'Italia per andare a ballare i violenti giri di basso di maestri di mezza Europa, arrivarci accompagnati dalla cattiva musica di un Ramazzotti qualunque non vi va poi troppo bene.
T’inizi a guardare intorno, che il senso del viaggio, in questo viaggio, non è nel viaggio, ma nella destinazione, e lasciare che i chilometri che stai percorrendo smussino le punte più anguste dei tuoi pensieri è una cosa che non vuoi. E loro emergono uno a uno, a volte a gruppi, dalla foschia che prima chiamavi tuoi compagni di viaggio.
In fondo all'autobus, circondati da nuvole parecchio dense di fumo vagamente psicotropo, ci sono i personaggi semileggendari dell'organizzazione. Li distingui nettamente dagli altri, un pò perchè il loro stile e la loro età ti dicono in una maniera che non puoi ignorare che appartengono agli anni in cui a questa musica neanche si pensava, che l'hanno vista nascere e un pò l'hanno anche cresciuta, e un pò perchè l'esuberanza dei pellegrini elettronici che ti circondano non riesce a raggiungerli, che queste cose, loro, le hanno già vissute infinite volte. Le loro donne, per quanto più giovani di loro, si vede perfettamente che gli appartengono, che determinate cazzate modaiole, loro, le lasciano agli altri.
Accanto a te ci sono cinque giovani tedeschi, che bevono quanto solo i tedeschi sanno bere, eterogenei nello stile come stai scoprendo sono tutti gli appartenenti a questo genere. L'uomo giovane accanto a te è parecchio infastidito da questo quintetto in trasferta che si concede un viaggio nel viaggio per il solo piacere di ballare, che la loro chiassosa esuberanza proprio non ne concilia il sonno. Tu vorresti magari aggregarti, che l'energia che possiedono ti contagia e sai che, con la sola espansività di viaggiatori d'oltralpe, potrebbero migliorarti la serata, nettamente.
Subito dietro i tedeschi ci sono quattro elettriche ragazze di Salerno, abbronzate, vestite ai minimi termini e cosparse di dettagli fluo. Tu, che sai leggere con uno sguardo la forma delle intenzioni che animano le persone, le riconosci all'istante le forme predatrici che si nascondono dietro le curve morbide dei loro corpi, che alla fine il tuo sangue non è troppo dissimile dal loro e sai esattamente da cosa vengono, e con quali motivazioni agiscono. Riconosci subito quella che, delle quattro, è senza ombra di dubbio il capo, pienamente a suo agio e cosciente di ciò che la circonda, mossa dai movimenti di chi sa di esser seguito. Riconosci la seduttrice del quartetto, in grado di ottenere ciò che vuole, quando vuole, che la sua bellezza ha pochi pari all'interno dei confini patrii. Intravedi una gregaria, ma ad individuarla nettamente fai fatica, che la natura dei gregari è sempre vacua e fumosa, ed esistono solo come parte di un qualcosa più grande e, presi singolarmente, i gregari tendono a scomparire. E poi vedi lei, che ti si infila sottopelle senza nessuna fatica con il semplice manifestare la forma unica della sua natura, selvatica e indipendente, di chi interseca un insieme senza farne parte, capace di risplendere di luce propria ma non per questo inadatta ad illuminare un intero gruppo di persone.
Ti stupisci dalla composizione fragile di questa congrega in cui figure inessenziali sostituiscono figure necessarie all'economia del gruppo, che, se non si muove insieme da sempre, si sfascerà alla prima occasione. Le vedi attuare coordinate la loro mossa, che, con l'occhio allenato di predatrici quali sono, hanno preso di mira gli alcolici che i giovani pellegrini provenienti dalle terre a nord delle alpi hanno portato con loro. Le vedi muoversi e per un momento provi pietà per le loro prede, che non conoscono le differenze e le peculiarità della gente delle varie parti d'Italia, e vorresti spiegare come stanno le cose, a questi sprovveduti, insegnargli a leggere i segni, partendo dalla più semplice numerologia, che se quelle sono quattro e loro cinque al venti per cento è disfatta, e poiché cinque per quattro fa venti i segni sono chiari, e farebbero meglio a costringere il nocchiero a fermarsi e scappare parecchio in fretta per i campi, che con i segni non si scherza. Vorresti, ma poi lei ti guarda per la prima volta, e l'aura di difensore degli stolti ti scompare di dosso che con la sua aura selvatica e indipendente cozzerebbe non poco, e le anime che entrambi nascondete dietro gli occhi hanno iniziato un discorso che a voi, semplicemente mossi dalle anime dietro i vostri occhi, non è dato conoscere.
Così le lasci fare, le vedi avvicinarsi sorridenti e festose a questi stolti germanici, le vedi ballare con loro sul ritmo costante ma sorprendentemente variabile dell'Amen Break, le vedi consumare tutto quello che possono consumare dei loro polli, le vedi riuscire a scollarseli di dosso con un semplice bacio sulla guancia; e poi vedi i cinque tedeschi, con gli occhi leggermente vacui, intenti a interpretare la sensazione di essere stati ingannati senza riuscire a indovinare ne il come ne in cosa. L'uomo che ti si accompagna in questo viaggio, che tu sai essere buono in fondo all'anima, parecchio in fondo, ma che per osservatori poco attenti potrebbe pure passare per un informatore dei secondini che si sia appena guadagnato la libertà barattandola con quella di un'altro, ghigna soddisfatto dell'accadimento, interpretando la cosa come una punizione divina in grado di restituirgli la tranquillità di cui necessita per dormire almeno un minimo; tu, dal canto tuo, scruti, utilizzando l'arte imparata dal vento, i segni che ti si mostrano contrastanti: i numeri parlano di una doppia vittoria e una quadruplice sconfitta, gli eventi ti ricordano che la fortuna non ha pietà degli stolti, la nebbia proveniente dal fondo del bus confonde la prospettiva e tu ti guardi guardare ed essere guardato e decidi che, se il tuo compagno di viaggio non si produrrà in azioni guastatrici troppo efficaci per porvi rimedio, questa sera potresti pure ritrovarti ad annusare la pelle di questa ragazza selvatica, e forse potrebbe pure essere propiziatorio per un giovane del centro ed una giovane del sud, incontrarsi al nord.

La prima parte di Sciamani la trovate qui.

mercoledì 27 gennaio 2010

Sciamani 1 di 5: mosso solo dal tuo entusiasmo per la scoperta di una musica nuova

Inizio oggi la pubblicazione, in cinque parti( una al giorno da oggi a domenica) che è una cosa un pò lunga, del primo racconto che ho scritto seriamente, e che m'ha portato fino a qui, su questo blog.
Ringrazio infinitamente Mike per l'immagine di copertina.
Quindi, senza ulteriori indugi, ecco a voi





Piazzale del Verano ti accoglie sotto il sole cattivo di un venerdì d'inizio agosto quando le tre sono passare da pochi minuti. Al tuo fianco hai un compagno di viaggio come ce ne sono pochi, e tu per questo ringrazi chi devi ringraziare, che, per quanto risponda sempre alle tue chiamate improbabili, la sua capacità di carpire il senso di ciò che lo circonda e adattarvisi di conseguenza è bassa in maniera preoccupante. Senti l'ottimismo che ti monta dentro, che la validità della scelta che ti ha portato ad essere qui, in questo momento, è indiscutibile. Ti sembra quasi un rito propiziatorio questo tuo partire, a meno di un'ora dall'inizio delle ferie, per un viaggio privo di un senso reale, mosso solo dal tuo entusiasmo per la scoperta di una musica nuova.
Ti pesano addosso, e tu li senti nettamente, undici pesantissimi mesi di brutto lavoro, rimbalzando da un'azienda all'altra, vivendo in una precarietà che cozza enormente con il tuo modo d'essere fatto di abitudini. La settimana appena passata, fra corse interminabili in vespa per andare a trovare tua madre ricoverata dall'altra parte di Roma, meccanici incapaci e la botta finale in ufficio ti ha, nel migliore dei casi, spezzato.Il partire, per la prima volta da anni, come uomo libero, senza nessuno a cui rendere conto se non te stesso ti ha, come minimo, riempito di quella gioia che, sola, appartiene agli uomini che ancora apprezzano la libertà da poco riguadagnata.

Così adesso sudi di fronte al più famoso cimitero romano, circondato da persone che nessuna madre sarebbe contenta di veder uscire con il proprio figlio, che aspetti il tuo passaggio per Rimini. Magari vi state tenendo in disparte, te e il tuo inaffidabile compagno di viaggio, che la passione per la drum&bass l'avete scoperta da poco, e non vi sentite troppo a vostro agio in mezzo a questi mostri un pò vintage e un pò cyberpunk che, con estremo coraggio, bevono birra calda sotto il sole a picco e sfoggiano abiti dai dettagli fluo parecchio anni ottanta.
L'autobus arriva con il ritardo appropriato ad un traghettatore di future anime perse come apparite voi, ubriachi sotto il sole cattivo di una città che si va svuotando per le vacanze estive. Il nocchiero, che finché non vi vede da vicino non ha idea di che genere di passeggeri si appresta a trasportare, ascolta fiducioso un vecchio disco di Rino Gaetano. Mentre salite parecchio caotici sull'autobus ti stupisci, e un pò ti maledici anche per non aver iniziato prima a frequentare questo ambiente, per la quantità assolutamente non comune di ragazze che salgono con te e che, nonostante lo stile spigoloso che gli è proprio, ti appaiono belle.

lunedì 25 gennaio 2010

Tetrapilocronaca #1, ovvero: la vagina di John Mayer e il Viagra.

Prima uscita di una nuova rubrica di Tetrapiloctomia, ovvero "Tetrapilocronaca", notizie più o meno curiose di cronaca spaccate in quattro e commentate.

Ecco il pezzo di oggi:
Tetrapilocronaca #1, ovvero:
La vagina di John Mayer e il Viagra.


In principio fu Jimi Hendrix. Ovvero un modo di fondere sesso e chitarra come mai era stato prima. Una specie di orgasmo musical-sentimentale che ti rovescia tutto e ti lascia senza fiato. Quando suonava Jimi, le donne venivano solo sentendo la chitarra strillare. Gli uomini invece invidiavano, non c’era più la famosa “invidia del pene”: c’era l’invidia del manico (di chitarra).

C’erano stati dei preludi, certo, c’erano stati i Chuck Berry e i Buddy Holly, e così via, ma…. Un solo Jimi Hendrix. Morto troppo presto, o forse troppo tardi, forse giusto in tempo per essere una leggenda.

Dopo di lui, la dissoluzione. Il rock che si frattura, il fiorire di cose prima inesistenti La Psichedelia, il Metal, la Fusion. Il Funky.
Tanti modi diversi di suonare, tanti modi di far cantare la chitarra, alcuni anche FANTASTICI ma…
Niente da fare. Non è la stessa cosa. Nemmeno lontanamente così seducente.

Poi un bel giorno il Dio del Rock n Roll caga fuori John Mayer.
Ok, forse non sapete chi è John Mayer. Provvedo io. John Mayer è LUI ->
http://www.youtube.com/watch?v=6KGw9JXsBmI

Un uomo chiamato chitarra. Una scheggia pura di quell’amplesso li, di quell’indimenticato Jimi.

Vedete, il brutto del post Hendrix, quel che mancò nella chitarra, non era la tecnica, o l’inventiva. No, nella chitarra mancava il Sesso.
Ecco perché John Mayer impone rispetto. E’ una SPERANZA. E’ come un principio d’erezione.

Poi, ieri, rilascia a Rolling Stone, la rivista di musica, la seguente intervista:

“John Mayer ha svelato alla rivista Rolling Stone il segreto delle sue relazioni. Il cantante ha detto di preferire le vecchie fiamme a una nuova storia, come confermano i diversi tentativi con Jennifer Aniston e, forse, un riavvicinamento a Jessica Simpson la scorsa estate che avrebbe causato la fine del suo rapporto con Tony Romo.
“Voglio andare a letto con quelle con cui sono già stato, così non devo spiegare come sono a nessun'altra. Spesso le ragazze non credono che sia interessato a loro. Il cantante e' stato ancora più esplicito: Pensate che voglia incontrare qualcuno che ammiro più di quanto ammiri me stesso? Forse, ma serve anche una bella vagina”.

Ed è un po’ come scoprire che Rocco Siffredi prende il Viagra.

Ma dico io… questo suona spremuta di sesso e poi si adatta alle donne come a vecchie ciabatte, se le sceglie comode per non dover sopportare lo sforzo di doverle adattare?
No, no, più scrivo più mi rendo conto che non sto rendendo l’idea, quindi crocifiggiamo un secondo il Politically correct e diciamocela tutta:
Tony Romo è LEI -> [http://www.customauthenticjerseys.com/wp-content/uploads/2009/06/tony-romo-fan.jpg]
e tu, emerita testa di cazzo, la molli quattro a zero perché così “NON DEVI SPIEGARE A NESSUN’ALTRA COME SEI”???

Alla fine sono arrivato a una mia conclusione.

Se faccio un viaggio nella testa di John Mayer, mi rendo conto che probabilmente per quello suonare è più semplice che parlare.
Le parole sono fonte di malintesi, questo si sa, da sempre. Quindi lui preferisce suonarsi, non doversi spiegare.
Purtroppo però non puoi fartela dare con un LA bemolle. Vuoi o non vuoi, devi cercare di farti capire.
E questo a John Mayer costa sforzo.
La sua felicità, semplicemente, sta nella ciabatta già allargata, e nella sua chitarra.

E in fin dei conti, si, anche Rocco Siffredi prende il Viagra.

Buona vita

Ogni viaggio inizia sempre con un passo.
Essere accanto ad una persona che compie, contemporaneamente a te, lo stesso identico passo, partendo per lo stesso viaggio, spinto da motivazioni così intrinsecamente simili, è una fortuna che spetta a pochi.
A quanto pare a me e a te questa fortuna spetta.
Lo senti come me, l'odore di libertà mentre conti i giorni? Lo capisci come me, riempiendo le scatole con la tua vita, quale mondo ci si è aperto davanti?
Ci sono spazi che ti aspettano, che ti apparterranno veramente, e il piacere incredibile di potertici muovere attraverso seguendo tempi solamente tuoi; scoprirai il ritmo vero della tua vita.
E ti scoprirai una persona nuova, a volte più adulta e responsabile certo, che ora a te ci devi pensare solo te, a volte più irresponsabile e infantile, che non c'è più nessuno che può rimproverarti: se ti viene voglia di saltare sul letto, cantando a squarciagola con il volume al massimo nessuno te lo può impedire, mai più, se non te stessa.
Soprattutto ti scoprirai la persona che tu deciderai di essere. Ed io, ad un passo da te, scoprirò le stesse identiche cose.
E sarà bello, spero, camminare uno di fianco all'altra, e iniziare insieme, camminando ad un passo l'uno dall'altra, una vita completamente nuova.
C'è un augurio che amo particolarmente, un augurio completo, totale, di quelli che non riesci nemmeno a pronunciare senza essere completamente sincero.
È un augurio prezioso, di quelli che custodisco gelosamente, perchè so che, nel migliore dei casi, forse arriverò ad utilizzarlo una decina di volte in tutta la mia vita.
E credo che questa sia una di quelle volte. Quindi, a te...


buona vita.

Nota degli autori:

Cari tetrapiloctini\e,
Theta, IoNonTremo e Flamio hanno sottratto al cazzeggio una mezz'ora del loro tempo e l'hanno spaccata in quattro, come loro solito.
Già che c'erano, hanno deciso la linea editoriale che il blog deve seguire.
Che, in sostanza, ha coinciso col proibire a Theta di irrorarci quotidianamente di una spremuta di cazzi suoi.
Questo comporterà che:
A) Si apriranno nuove rubriche, il materiale sarà un po' più ordinato, un po più comprensibile. E, di conseguenza, non avete più scuse: dovete comemntare.

B) Theta aprirà un nuovo blog, nel giro di un paio di settimane, che sarà tutto suo, un angoletto stile "La posta di Theta"...fa molto Kiss Me Lycia ma..tant'è.
Non disperate: non farà mancare il suo apporto tetrapiloctomico. Che già è difficile spaccare bene il capello in tre, in due sarebbe impossibile.

Ballare con il fuoco

Questo è per G, il fuoco con cui ho imparato a ballare.
E per G, il fuoco con cui sto ballando e bruciandomi adesso.
E per G, che si commuove a sentirmene parlare, e che forse non sa del fuoco si porta dentro.


Nasci e impari a respirare. Subito dopo impari a urlare.
E la parte facile, spiacente, ma finisce qui.
Ma hai fatto un grande passo in avanti, che respirare e urlare ti saranno utilissimi: respirare ti serve per vivere, urlare per ricordarti che sei vivo.
Poi hai cinque sensi da imparare ad usare, non darne per scontato nessuno, che in certi momenti la vita riesci a morderla come si deve solo utilizzandoli tutti insieme, e sono i momenti migliori.
Impari ad afferrare, imparalo bene, perchè nella vita quello che vuoi devi prendertelo da solo, sempre.
Impari a parlare, e a camminare; occhio, questo è un passaggio importante. Sono i tuoi piedi, e solo i tuoi, che ti porteranno in giro per il mondo, e solo parlando riuscirai a conoscerlo; ci sono infinite persone che devi conoscere, ognuna con la sua storia; molte saranno solo facce nei tuoi ricordi, ma alcune, e sono poche quindi fai attenzione a quando le incontri, alcune verranno ad insegnarti la vita, che certe cose, spiacente, da soli non si imparano mai.
Impari a correre; gran cosa correre, ma usala bene. Corri incontro alla vita, alle persone che ami, corri per te, per sentire il sangue che ti scorre nelle vene potente, corri, e questo è fondamentale, lontano da chi la vita vuole succhiartela via.
E alla fine, l'ultima delle cose veramente importanti che impari è ballare. E ballare è vita. È la vita stessa. È la musica che prende forma, è l'amore, è la rabbia, è il tuo estro, è rivoluzione. Si, perchè non c'è rivoluzione senza un ballo.
Impara a muoverlo come si deve il tuo corpo sul tempo, e poi impara da questo, a muoverti a tempo con la vita che hai intorno.
E poi, se sei fortunato, incontri il fuoco. E quando ti parlo di fuoco ovviamente sai benissimo di cosa ti sto parlando.
Ed è quando incontri il fuoco che scopri veramente che uomo sei.
Che il fuoco brucia, e la prudenza imporrebbe di non avvicinarsi mai al fuoco. Fallo se vuoi, scappa, allontanati dal fuoco; ma in questo caso della vita ti sarai perso il meglio.
Oppure fai come me, e balla col fuoco. E non ho detto accanto o intorno al fuoco, che quello sono buoni tutti a farlo, ma è da vigliacchi. Prendi il fuoco per le mani, stringigli la vita più forte, fallo aderire al tuo corpo e ballaci insieme. Assaporane il calore, perditi nella sua luce ipnotica e poi bruciati. O si, ballando con il fuoco ci si brucia spesso, è una cosa rischiosa ballare col fuoco, ma per Dio quanto è bello.
Poi, un giorno, con quel fuoco imparerai a ballare, a stringerlo a te senza bruciarti più, e berrai dalla vita a piene mani.
E potrà pure succederti, come è successo a me, di reincontrarlo ancora il fuoco, a distanza di anni, sotto una forma completamente diversa. E scoprirai, come me, che a ballare con il fuoco non si impara mai, e dovrai riniziare a ballare e a bruciarti, e lo farai con gioia, che è la vita che ti sta bruciando la pelle.

venerdì 22 gennaio 2010

Brodo di Pollo Blues

Anzitutto grazie a tutti per ieri sera.
Grazier a chi è venuto sfidando il freddo e il non-parcheggio di San Lorenzo.
Grazie a Theta e Flamio, gente di un certo livello.
Grazie alle Luci Distorte (bravi, proprio bravi cazzo).

Detto ciò...
Per chi lo avesse gradito, per chi lo conosceva già, per chi non lo conosceva, per chi non l'ha sentito bene bene e quindi vorrebbe rileggerlo, per chi gli ha fatto schifo e me lo vuole far sapere...
ecco qui

BRODO DI POLLO BLUES
ovvero Monologo al figlio che avrò)
di Danilo Cipollini




Te lo dico da quando sei nato e tu continui a non capire... Prova a farne tesoro, da adesso in poi: nella vita, diffida di tutto quello che è cotto.

Voglio dire....
Nasci e sei NIENTE. Uno sputo di molecole piccole così. Un mucchietto di carne. E già dall'inizio la vita ci divide in due grandi gruppi: i fortunati che si attaccano alla tetta materna e ne suggono latte (crudo), e quegli sfigati che si beccano il biberon.
Biberon, attrezzo infernale. Vieni incoraggiato ad assumere una polvere bianca che si scioglie nell'acqua. Gustati il momento, ragazzo, perchè sarà l'unica polvere bianca che sarai incoraggiato a assumere in vita tua. Beh, quella polvere bianca secondo loro è latte. E, magari, in origine lo era anche. Ma è stato analizzato, pastorizzato, sobollito, analizzato di nuovo e poi disidratato, liofilizzato, impacchettato. Di latte, ormai, ha solo le sembianze.
E' talmente falso, talmente infido, che te lo danno da un affare di caucciù fatto a forma di tetta.
Il Cavallo di Troia dell’alimentazione, latte falso in tetta falsa!
Ora... è molto probabile che quella non sia l'ultima volta in vita tua che tratterai con una tetta di plastica. Però, da bambino come da adulto, se vuoi un consiglio opta per il naturale.

Cresci un po'..arriva il momento delle pappine. Gli OMOGENEIZZATI. Ovvero una crema che SA di trota... ma NON E', trota. Sa di manzo, ma non lo è. Sa di bucatini alla amatriciana, ma in realtà rappresenta la mela.
Sostanzialmente, un omogeneizzato è un'astrazione, un'idea lontana di qualche cibo solido che è stato cotto e ricotto al punto tale da averne livellato il sapore. Tutte quelle creme hanno lo stesso odore, sapore, colore. Sono omogenee..da questo il nome. Omogeneizzato. E' questione d'ontologia.

Archivi quella merda giusto in tempo per assaporare (si fa per dire) le prime pastine.
Il passato di verdura...ovvero verdure cotte, ricotte, stracotte e poi tritate. Un olocausto di verdura, in pratica. Oppure, il famigerato Brodo di pollo. Ma sgrassato, però. Perchè non basta averlo bollito sedici ore... no, te lo filtrano anche. E te lo sgrassano. E lo condiscono, se sei fortunato, con pezzetti piccoli piccoli piccoli di pasta. Le Puntine. Gli Aghi. I Filini... che riuscirai pure ad accettare, non avendo ancora mai assaggiato i Filetti. Il che, presto o tardi, accadrà... Ed è un passo senza ritorno.

Cresci ancora. Si comincia a ragionare, perdìo. Spuntano dentini bianchi e cazzuti e, non a caso, quando spuntano piangi forte, per testimoniare al mondo intero che qualcosa, cazzo, è finalmente cambiato. Si tenta il primo approccio con la carne. Finalmente ciccia!
Come ti viene somministrata?
Cotta al punto che ormai è pressochè sfatta. Ti arriva in bocca come arriva in bocca il cibo ai cuccioli di gabbiano: in pratica, già digerito.

Tutto questo per dirti... prima di assaggiare qualcosa di crudo... passano giorni infiniti. E questo sai perchè?

Perchè devi avere le palle, per accettare il Crudo.

Devi essere forte, e corrazzato.
Il Crudo è una scelta di vita. E' impegnativo, è stancante, però è l'unica cosa vera che ci sia.

Se il pesce non è buono sai che si fa? Lo si stracuoce, così perde identità e... chi se ne accorge più?
Pesce apolide, anonimo, asfittico. E finisce che stai male.
No, il vero pesce è quello crudo.
E la carne... Quando è rossa, al sangue, quasi cruda, è perfetta. Se la cuoci, diventa dura.
E non c'è niente di meglio della pasta fatta in casa quando la rubi, cruda, dal tavolo da lavoro della nonna.
E, comunque, anche cotta è meglio "al dente".

Crudo nella vita dev'essere una scelta.

Scegli crude le emozioni, e diffida di chi te le stracuoce. Di chi te le da omogeneizzate. Di chi te le allunga nel brodo, magari fatte a pezzettini.
Scegli crudi gli amici, che certi schiaffoni ti tengono in vita. Guai se non avrai nessuno a darteli nel momento giusto, perchè rischi di andartene. Da solo.
Scegliti crude le donne, che è meglio una cruda verità che dieci dolcissime bugie. Meglio sentirsi dire "Mi sento lontana da te" e dover masticare crudo, che sentirsi sfornare una sequela di Ti amo bolliti da una donna che ormai appartiene a un altro.

...Ma insomma mi hai capito?

Come dici?

..."GUH"'?
Solo Guh?

...bah, ti salvi che hai solo 8 mesi.
Cambiamo 'sto pannolino, và...

Uno zoppo non deve ballare

Lo sapevi, lo sapevi che sarebbe andata a finire così. Te l'avevo detto. Ma tu niente, non ascolti, fai di testa tua, e come sempre sei finito li, a baciare il pavimento.
Che sia chiaro, so esattamente quello che provi. Riesco a vederla, la musica che inizia a scorrerti sulla pelle, a dettare un nuovo ritmo al tuo cuore.
Conosco la passione che ti spinge, lontano da ogni logica, cosciente ma disinteressato alle conseguenze, a muoverti sulla pista, cercando di seguire il tempo, usando un corpo che non senti nemmeno tuo. È la musica che ti fa ballare, è la musica che rende la tua anima libera, leggera; modifica la realtà che ti circonda, e tu, tu vedi le pareti, le persone, le luci distorte dal suono, e tutto è perfetto e tu balli... o almeno, ci provi.
Muovi un passo, ne muovi un'altro, ti senti sicuro, ancora un passo, poi cerchi di fare ciò che non puoi e , inevitabilmente, cadi.
E io sono li, come sempre, ti tendo la mano, ti aiuto a rialzarti,ti odio e muoio, come sempre, guardando il dolore nei tuoi occhi.
E non sono gli insulti o le risate di scherno a farti male, che degli altri, a te, non è mai fregato niente. No, il tuo è il dolore di chi non può, di chi non potrà mai abbandonarsi alle passioni che lo consumano.
Ti porto lontano dal caos della pista, in un angolo distante dagli occhi degli altri, e per un poco balliamo piano, aggrappati insieme, in silenzio, e tu puoi abbandonarti ad un'illusione di normalità, mentre io abbandono le mie speranze di tranquillità.
E vorrei ripetertelo ancora, anche se già lo so, anche se già lo sai; te lo ripeterei con un sussurro, che urlato non ti potrebbe fare più male. Te lo ripeterei con la cattiveria che serve a farti capire, che la vita, lo sai, insegna solo attraverso il dolore.
Uno zoppo non deve ballare.
Me ne sto zitto. Affrontarlo ancora questo discorso, affrontarlo ora, non avrebbe senso.
Ti stringo più forte, come sempre, e ancora una volta ti tengo in piedi e ti lascio ballare.
Questa notte, queste luci, queste note ti appartengono. E quindi consumale, finchè non verrà l'alba a sbiadire tutte le illusioni.

giovedì 21 gennaio 2010

LUCIDISTORTE e Tetrapiloctomia alla buona live @ felt club

A quanto pare non c'è niente da fare.
Che spaccare il capello in quattro è un'arte che, anche se praticata alla buona come facciamo noi qui, ti prende completamente, e a volte ci capita di dimenticarci anche delle cose più importanti.
Che stasera al felt club cantano di nuovo le LUCIDISTORTE. E visto che fanno buona musica andarli a sentire non può che farvi bene all'anima.
In più presenteranno i loro due primi brani inediti.
Anzì, no, non li presentano loro.
Già, perchè a quanto pare a presentargli gli inediti ci pensiamo io e Io Non Tremo, con delle letture introduttive preparate per l'occasione.
Noi siamo li che vi aspettiamo, e se venite a trovare non può che farci piacere.

mercoledì 20 gennaio 2010

Da un click su Facebook alla visione del divino a volte il passo è breve

C'è una cosa che voglio raccontarvi, che m'è successa oggi, solo che, per riuscire a farvene capire il significato vero, devo proprio iniziare a parlarvi del mio rapporto con il divino.
Sono cresciuto, come molti del resto, con un'educazione cristiana. Me ne sono staccato durante l'adolescenza, vuoi perchè la fede non s'è mai presentata, vuoi perchè a me quel discorso di esser pecore e porgere l'altra guancia proprio non m'è mai andato giù. Me ne sono stato li fino ad ora, con quel lieve senso di disagio generato dal contrasto fra la logica, con la sua certezza della non esistenza del divino, e l'educazione, con la sua inevitabile esistenza di un'essere superiore; un pò come quando da bambini si inizia a capire che Babbo Natale non esiste, ma non si riesce ad accettarlo pienamente, che ti hanno abituato a darne per scontata l'esistenza.
Questa primavera, goliardicamente e senza nessun motivo apparente, ho preso pezzi da "Guida Intergalattica per Autostoppisti" e da alcuni dei libri di Enrico Brizzi, ho dato una bella mescolata e ne ho tirato fuori una di quelle cose che si spacciano per religioni, ma che hanno molto più a che vedere con filosofia e stile di vita, insomma una di quelle cose new age. Stranamente mi ci son trovato bene, con questa cosa new age, ho avuto anche discreti riscontri, e pian piano ci sto cominciando pure a credere. E poi avere una religione personalizzata, ammettetelo, è un lusso veramente per pochi.
Nella mia religione personale (un nome ancora non ce l'ha, abbiate pazienza, che per inventarsi una religione da zero ci vuole tempo, e non dovendo fare proselitismo per il momento i nomi sono inessenziali, bastano i concetti) esiste un mio personalissimo motore ad improbabilità infinita, non un essere cosciente e superiore, solo un generatore di coincidenze improbabili. Questo motore, o chi per lui, a volte comunica con me, in due differenti modi.
A volte mi spinge a compiere azioni, delle più banali, che mi portano inevitabilmente a delle svolte; sono sensazioni nette, precise, a volte mi spingono ad agire immediatamente, a volte a dichiarare quello che succederà nel futuro più immediato; stranamente queste sensazioni non sbagliano mai, sono mesi che sono precise più di un'orologio svizzero.
Altre volte lascia dei segni, che a vederli e interpretarli correttamente danno grandi indicazioni su cosa fare o su quello che sta per accadere.
Questo mio personalissimo motore ad improbabilità infinita mi spinge nelle direzioni più disparate, non incarna ne un'aspetto salvifico ne distruttivo, che sono cose che, da quando tutto è relativo, sono parecchio sorpassate. Semplicemente movimenta la mia vita, e di questo, almeno per ora, gli sono grato.

Ecco, dopo questa sparata degna di un centro di igene mentale, vi racconto quello che è successo.

Ieri sera, parlando di questo blog con una mia amica, sono rimasto colpito dal fatto che lei fosse riuscita a riconoscere la persona di cui parlavo in questo post qui, che sono anni che non ne parlavamo, forse anche sei o sette. Questo è un segno, mi son detto.
Stamattina, aprendo la bacheca, vedo apparire, praticamente nel momento esatto in cui lo scrive, una frase di questa persona, una domanda, la cui risposta ho trovato proprio grazie alla persona che pare averla sostituita, di cui parlavo sempre nello stesso post. Questo è un segno, mi sono detto, collegato all'altro, tra le altre cose, e mostra una certa circolarità, che a me piace, e pure parecchio, la circolarità.
Scrivo di getto una frase di risposta, ma non a lei, che abbiamo deciso, tempo fa, di non sentirci più, e cerco ancora di rispettarla io, questa decisione. La metto sulla mia bacheca e, sorprendentemente, a lei piace. E mi ha contattato, proprio mentre scrivevo questo post qua, per sapere se parlavo di lei.
È il mio motore che lavora, sicuro, e mi spinge in una direzione che non sò, ma mi rende la vita interessante, e di questo continuo ad essergli grato.
Ricordo che, nell'ultima discussione che abbiamo avuto, lei m'ha tacciato di essere troppo cervellotico e riflessivo, di non essere impulsivo.
Ed è di questo che parlava la mia risposta, che io, al momento, faccio tutto di impulso, mosso dal mio personalissimo motore, e sto veramente bene così.

E poi mi sono appena reso conto che da un click su Facebook alla visione del divino a volte il passo è veramente breve.

Realizziamo i nostri desideri

Il suono della sveglia mi uccide; tre ore di sonno sono poche, veramente poche, e, se sono settimane che dormirne quattro sembra un miraggio, sono praticamente zero.
Mi alzo e, con grande sorpresa, scopro che nonostante l'intensa prestazione atletica di ieri notte le gambe non sono legnose, anzi, hanno dentro un'energia inaspettata, che quasi sarebbe il caso di andare a farsi un'oretta di corsa per smaltirne un poco; ma ho un capo che mi attende, e ad arrivare tardi rischierei un'altro giorno di sospensione, se non addirittura il licenziamento, e proprio non me lo posso permettere.

Dover togliere il ghiaccio dalla vespa dovrebbe farmi suonare un campanello d'allarme in testa, convincermi a ripiegare sui mezzi pubblici o la macchina, perlomeno rimandarmi a casa a cambiare, che un jeans e una felpa sotto la giacca a vento decisamente non sono sufficienti, ma ho come l'impressione che stamattina il buonsenso se ne sia rimasto a dormire.
Guardare l'erba ghiacciata e scintillante scorrermi rapida accanto nella luce obliqua dell'alba ha un che di poetico, mi fa sentire vivo, libero, essenziale; è solo il freddo che rovina tutto, riuscire almeno a smettere di tremare sarebbe una gran cosa.

Fermo la vespa, mi libero dei guanti, del casco, mi preparo ad affrontare altre otto ore di galera per pagarmi la vita... e lo vedo.
Ed è qualcosa di stupefacente, di sublime, bellissimo in tutto il suo orrore, che The Tiger di Blake a paragone sembra una filastrocca per bambini.
È che siamo in campagna elettorale, e nonostante preferisca le favole di La Fontaine, qualcuna delle loro proprio non riesco ad evitarmela. Soprattutto sui cartelloni pubblicitari; soprattutto su quelli di fronte il sottoscala che mi fregio di chiamare ufficio. E fra questi uno spicca, e io credo di aver trovato la persona che voterò. Non per gli ideali, sia chiaro, ne per il colore o per il programma, no, solo per l'estrema, disarmante sincerità.
Un "REALIZZIAMO I NOSTRI DESIDERI" campeggia a lettere giganti, azzurre su blu, sul cartellone.
Per questa ammissione, per il coraggio di ammettere apertamente, pubblicizzandolo pure, che non per noi vuoi essere eletto, non per gli interessi degli elettori, ma solo ed esclusivamente per il tuo personalissimo tornaconto, ecco, per questo meriti tutta la mia stima. Per l'onestà con cui ammetti di essere disonesto.
Ed il fatto che io riesca a restare piacevolmente colpito dalla tua ammissione di disonestà credo spieghi perchè, a farci caso, si senta odore di marcio da tutte le parti, in questo fantastico stivale.

lunedì 18 gennaio 2010

Elefanti Rosa

Elefanti Rosa
di Danilo Cipollini



“Sai,” mi fa lei “tempo fa ho visto una foto, su internet. Era una foto assurda, si vedeva una stanza bellissima, arredata di tutto punto, con classe, con gusto … “
Sbuffo il fumo. Mastico un pezzetto di nulla fra i denti e guardo il suo viso per un secondo. Poi torno a fissare la strada.
Il nodo della cravatta mi da fastidio ma per adesso non lo tocco. C’è più scaramanzia che pigrizia, in questo, ma … tant’è.
“Beh la cosa fantastica di questa foto “mi fa, lei, “E’ che al centro di questa stanza c’era un enorme elefante rosa.”.
E qui tace, qualche secondo, certa dell’effetto teatrale delle sue parole.
“Ecco, in questo momento ho esattamente quella sensazione” – lo dice con un filo d’amarezza, ora – “Mi sembra che nella tua testa ci sia un elefante rosa”.

E un’altra colonna di fumo va a fare il solletico al naso del Padreterno.

La ragazza mi “legge”, e non è cosa da poco.
Sono un libro con la copertina inchiodata, io.
Segno di grande intelligenza, devo dargliene atto. Ma la cosa un po’ mi stizzisce, mi sa che c’ero un po’ affezionato, alla mia imperscrutabilità.
Quindi cucio una rispostaccia sulla lingua e prendo la rincorsa dalla gola per tirarla fuori.

Poi però mi dico che non se la merita, ‘sta stizza, e quindi cerco di smorzarla.
Quel che ne esce fuori, data pure la rincorsa, è un commento sibilato, da serpente stanco, un po’ crucciato. Sembrava soddisfatta della sua metafore.
La cavalco.
Mi limito a dirle “Beh, quindi è nella mia stanza, è il MIO elefante rosa”.

L’illusione è quella di aver chiuso qui il discorso. Di aver detto la parola Fine.
Davvero, se c’è un modo per dire la parola Fine, è quello di separare i campi d’azione. Uno dice: questa cosa è Mia, e sottintende: tu qui non puoi entrare. Fine.
E’ una cosa strana, questa della parola Fine. Vista l’insistenza con cui la maggior parte di noi smania per averla, su tutto, la parola Fine dovrebbe essere una specie di manna dal cielo, una deliziosa prostituta che conduca ai piaceri più grandi che ci riesca di immaginare, un viatico per il paradiso.
Invece, sa di sega di seminarista: vieni, si, ma ti ritrovi tutto sporco, non solo esteriormente. Dentro.
Te la senti pesare addosso, tipo colpa, sarà che di norma è gravida di responsabilità. L’Ultima Parola. La parola Fine.

Niente sega per il mio seminarista. Lei mi toglie l’ultima parola, in men che non si dica.
“Non il TUO elefante rosa” – e lo dice con tutta la dolcezza del mondo, giuro – “il NOSTRO elefante rosa”.

Che poi, a ben vedere, probabilmente non è una di quelle puntualizzazioni che chiudono un discorso. La mia, la mia si, lo avrebbe potuto chiudere. Ma la sua… La sua era un buon modo, per me, per sembrare un po’ meno stronzo. Una donna che ti riacchiappa dalla tana dove sei scappato e ti riporta con dolcezza nel prato del “Noi” è una donna rara.
Poteva essere un’occasione, davvero.
La perdo.
Sarà colpa del sigaro che finisce, con l’ultimo sbuffo che sa sempre un po’ d’amaro, causa tabacco ormai tostato dal calore.
Sarà colpa di quel filo di stizza che ancora passeggia sulla lingua.
Sarà la cravatta che mi stringe ancora il collo, cazzo, mi sembra di esplodere.
Fatto sta che mi sottraggo alla discussione in maniera spregevole. Borbotto solo “Fidati, è il MIO elefante rosa. Quando inizierà a passeggiare dalle tue parti, te ne accorgerai”.

Che è, oggettivamente, una risposta del cazzo. Da maschio frustrato e velenoso.
Quanto la posso capire, quando lei si alza e se ne va?
Un sacco.
E, hai voglia a schiacciare il tasto rewind sulla lingua. Non succede niente. Lei continua a camminare verso l’automobile.
E io resto fermo, seduto al tavolo del bar che spegne l’insegna. La giornata finisce, tutti a casa.
Posso allentare il nodo della cravatta, ora.
Butto via il mozzicone di sigaro ormai spento. Ne accendo un altro. Dovrei fumare di meno.
Dovrei dormire di più. Dovrei andare ad allenarmi con maggiore regolarità. Dovrei smetterla di mandare tutto a puttane. Dovrei liberarmi di certe amicizie che non mi rendono felice. Dovrei scrivere di più, mangiare meno pasta, fare di nuovo le analisi del sangue. Dovrei evitare di complicarmi la vita e imparare a comportarmi. Dovrei smettere di aspettare certe telefonate. O forse iniziare a aspettarle. Punti di vista.

“Dici che la rivedo?”, chiedo, guardando oltre la mia spalla destra e sforzandomi di non sbuffargli il fumo in faccia, per non infastidirlo.
Incassato nella sedia al mio fianco, il mio elefante rosa non mi risponde. Si stringe nelle spalle, se spalle si possono chiamare le giunture d’un elefante, e tira un altro sbuffo di sigaro con la proboscide.

sabato 16 gennaio 2010

Scleropatomittenza 7: non è orario d'ufficio.

Che quando si dice la fortuna...

...sappiamo che non mi riguarda.
Quel che invece può riguardarmi è arrivare venerdì sera alle sette e mezza, non prima, proprio alle sette e mezza, alla cassa del supermercato e non trovarsi più il bancomat.
Avessi fatto la spesa solo per me amen, me ne sarei tornato a casa, magari appena appena con l'umore nero, e avrei passato il fine settimana a pasta e niente, magari gustandomi quella retrospettiva sulle avanguardie cinematografiche russe d'inizio secolo di cui parlo sempre.
E invece la spesa era per la cena di stasera e il pranzo di domani in montagna di dieci, e dico dieci persone. Tra l'altro adesso presentatemi un'altra persona in grado di spendere ottanta euro per ubriacare e saziare due volte dieci persone. Mangiata e sbronza a cena, quattro euro, mangiata e sbronza a pranzo, quattro euro, per tutto il resto c'è(ra) il bancomat (o giùdi li, sistematevela voi questa battuta, che sto su un computer prestato, con dieci unni che bevono e si abbuffano nell'altra stanza e avrei una certa voglia di raggiungerli).
La cassiera mi guarda con occhio da triglia sul banco del pesce, e pure io non devo avere un'espressione più intelligente ma, siccome sono una persona a modo nonostante tutto, gli chiedo di perdonarmi, che a quanto pare il bancomat mi ha lasciato ed è scappato ai caraibi con qualcun'altro, probabilmente a spese mie, e in tasca ho ben cinque euro per sopravvivere al fine settimana. Senza farmi prendere dal panico prendo il telefono e chiamo il santo salvatore, per questa volta nelle vesti di mio padre, per dirgli di venire al supermercato, si, quello, e di portare il bancomat, no, tu non ti preoccupare e porta il bancomat. Me ne sto una mezz'ora, con il cellulare che intanto ha deciso di spegnersi, a pregare che il santo salvatore abbia capito dove e con cosa venire.
Arriva, paga, nota la modica quantità di alcolici che stazionano nel carrello mentre io comincio a maledire chi di dovere e ci dirigiamo a casa.
Il numero verde per bloccare la carta se ne sta il, occupato e sorridente, per una buona mezz'ora; poi il miracolo, suona libero, mi risponde un'operatore. Ora non tacciatemi di razzismo, ma la gente di quaggiù, fra i tanti difetti, è molto più disponibile di voi lassù, nel freddo e produttivo nord, e magari un operatore di qua sotto l'avrebbe capito da solo, senza bisogno di spiegazioni, che una madre che ti urla nell'orecchio libero dalla cornetta rende leggermente più complicato capire quello che stai dicendo, stronzo dalla voce flebile e dall'accento volutamente incomprensibile. Si, si è sentito che hai iniziato a parlare in dialetto subito dopo aver letto le mie origini, e per quanto la cosa non mi renda felice sei italiano pure te, parla, cortesemente, nella tua cazzo di lingua ufficiale, quella con le origini giudaico-cristiane che vai sbandierando, non in quella di origini teutoniche che comunque non ti riguardano, che quando passi il confine ti prendono per il culo pure a te, che sei italiano.
L'unica cosa che riesco a capire, prima che il simpatico e disponibile operatore riagganci senza darmi spiegazioni, è di attendere e segnarmi il numero (tanto chi non ha sempre carta e penna a portata di mano), e cosa ci devo fare con il numero, voi lettori che siete romani come me, lo sapete già.
Acquisito il numero importantissimo mi reco presso la più vicina caserma dei carabinieri, che pare abbiano, fra le altre cose, la funzione di raccogliere denunce.
Spiego via citofono il motivo della mia presenza in loco, che capire quello che dice al citofono, quando la caserma si trova giusto su una via trafficatissima, è una sciocchezza; rispiego al tipo il motivo della mia presenza in loco allo stesso tizio del citofono attraverso un vetro, che pare se lo sia dimenticato nel giro di forse trenta miei passi; mi sorride e mi spiega cortesemente (oh, sia chiaro che qua sono ironico) che posso tornare domani a sporgere la denuncia dalle otto alle venti.
Guardo l'orologio, otto e tredici minuti, nessuno a parte io e il tizio dall'altra parte del vetro (previdente!) in vista, io che ho la luna che più di traverso non si può, e lui a dirmi di tornare domani. Chiedo delucidazioni, giusto per scrupolo, e lo prego in ginocchio di fare un'eccezione, ma lui no, gli dispiace, non si può fare.
Non è orario d'ufficio.

Non è orario d'ufficio!

Non è orario d'ufficio!?

No. Non è orario d'ufficio.

Me ne torno a casa, raccomandando l'anima dell'uomo a quanti, nel mio personalissimo pantheon, sono amanti degli scherzi di pessimo gusto, che loro, che sono persone a modo come me, il loro lavoro lo fanno sempre, non solo in orario d'ufficio.


Che poi avevo in mente di scrivervi tutt'altro post, fra sei o sette ore, parlando di vizi, piaceri, e della protagonista di un sacco di miei post(quali sono vedetelo voi, non mi va di mettermi a lincarli), ma il mio personalissimo pantheon è pieno di amanti degli scherzi di pessimo gusto, e se non dirigo altrove la loro attenzione loro, che si annoiano facile, passano il tempo scherzando con me.
Magari quel post ve lo scrivo lunedì, che ora, se permettere, mi unirei ai dieci unni già citati, che m'è venuta voglia di bere.

giovedì 14 gennaio 2010

Sono piccole delusioni ma uccidono

Ovvero del compiere piccoli personalissimi atti di eroismo e del vederli cadere nel vuoto. Ancora.

Ricordate che vi dicevo qui che avevo ancora dei limiti personali da infrangere, e che m'ero preso un mezzo impegno ad infrangerli senza supporti esterni? A quanto pare ieri sera questo mezzo impegno sono riuscito a rispettarlo. Mi sono riuscito a produrre in quello che è per me un atto eroico senza precedenti che, se solo non fosse poi risultato quel monumento all'inutilità che al momento sembra, mi sarei prodotto in un post da antologia sul mio personalissimo pantheon. Che poi magari so farò, il suddetto misticissimo post, solo aspetto un'occasione migliore.

Ma veniamo ai fatti.
Anzi, partiamo con una premessa.
Il mio più grande limite è la timidezza; che sono una persona che di cose da dire, a furia di ascoltare e pensarci su, ne avrei da vendere, e invece niente; me ne sto li, il più delle volte, a far da mobilia ed ascoltare, con l'ansia che mi scala la colonna vertebrale e mi si aggrappa in testa al solo pensiero di venire li e presentarmi.
Ecco, e ora, se ci riusciamo, veniamo ai fatti.
Ieri sera, tanto per cambiare, sono stato nel solito locale, che dopo dodici anni che mi versa da bere l'oste di li è diventato uno di famiglia, e se non mi faccio vedere almeno un paio di volte a settimana mi chiama a casa per sapere se va tutto bene.
Ieri sera, dicevo, sono stato al solito locale, con le persone con cui son solito accompagnarmi.
Scusate, sto diventando scontato, il problema è che mi risulta complicato riuscire a parlarvi dell'essenziale senza contestualizzarlo con tutta la banalità che lo circonda.
Fatto sta che una mia amica mi invita a brindare con lei e una sua amica con del brachetto e io, che sono timido, ma di una timidezza efficentissima nell'evitarmi tutte quelle situazioni in cui mi sentirei a disagio, ringrazio ma "no, veramente, è che proprio io col brachetto non mi sento a mio agio, ma fai come se avessi brindato" e fuggo fuori a fumare. Neanche mi accorgo di quello che ho fatto.
Poi ci ripenso, mi faccio strasportare dall'ispirazione o dall'intervento divino, fate voi, e torno dentro, prendo il mio boccale (che per me è come la coperta di Linus, che dopo una dozzina d'anni a frequentarlo assiduamente il mio oste preferito m'ha concesso di avere il boccale personale) appena appena intaccato, prendo una sedia da un tavolo a caso e vado a compiere il mio piccolo atto di eroismo.
Mi sono unito al loro tavolo, mi sono prodotto, ma così, giusto per rompere il ghiaccio, in un'enorme figura da evitare, che io ricordo a malapena il compleanno di mio fratello (quello dei miei ho rinunciato da tempo a cercare di memorizzarlo), figurarsi se potevo ricordarmi quello della mia amica e mi presento. E sono riuscito addirittura a sostenere una conversazione. Facendomi dei grandi applausi interiori, e senza nemmeno una punta di panico.
Ricordate che ieri dicevo che mi sarei impegnato a conoscere le persone senza bermi l'impossibile? L'ho fatto, e anche se si è parlato di facezie e non, che so, delle avanguardie cinematografiche russe d'inizio secolo, mi è parso di trovarmi di fronte ad una persona a modo e con un certo spessore, con cui magari val la pena spendere del tempo a conoscersi. E mi son sentito addosso lo sguardo benevolo delle mie urbanizzatissime divinità, intervenute a premiare il mio personalissimo atto di eroismo.
Ci stringo amicizia sul faccialibro, che è una cosa che fa molto 2.0 e che comunque rende la comunicazione parecchio più semplice, e...

...ed è fidanzata.
Ufficialmente.

E il mio personalissimo atto eroico è caduto nel nulla. E chissà quando ce ne sarà un'altro!
Queste qua sono delusioni piccole, ma ti uccidono.

mercoledì 13 gennaio 2010

Idrogrammatologia 5: della gioia di essere single e altre botte di genio

Salve a tutti.
Vorrei iniziare questo post con un appello: so che siete pochi, e che magari avete altro da fare, ma gradirei parecchio avere qualche feedback su quello che qua si sta facendo. Magari uno aggiusta il tiro, che, senza un confronto diretto uno non riesce a rendersi bene conto quando esce dal seminato e si dirige verso lidi improbabili e altamente tediosi.
Che poi magari dai commenti uno riesce anche a prendere spunto per quelle perle di saggezza da bar sotto casa che sono i post di Idrogrammatologia.

Ma veniamo a noi, e all'argomento del post.
Mi è capitato di leggere una di quelle cose fantastiche che prima dei social network uno si teneva per se o, nel peggiore dei casi, sprecavano inchiostro su qualche rivista per uomini alla moda; parlava dell'essere single, di quanto sia bello, di quanto ci si senta liberi, di quante boiate romantiche e paranoie della compagna si riescano a evitare.
Ora, senza stare a sindacare sugli effettivi pro e contro di una relazione, che poi magari a una persona proprio non gli interessa legarsi, o almeno non con te (ma questo è un'altro discorso), io voglio sapere: ma ti hanno costretto con la forza a stare con un'arpia fan di Hello Kitty o sei, molto più semplicemente, un povero idiota?
Il discorso vale da una parte come dall'altra, che ad essere gelosi, appicicosi, melensi, paranoici e soffocanti ci riescono benissimo sia gli uomini che le donne.
Quando conosco una persona che mi interessa, almeno io, mi riservo un minimo di tempo per conoscerla, prima di inginocchiarmi e chiedergli di invecchiare insieme. Se vedo che è interessante quanto una puntata del Grande Fratello, leggera quanto una retrospettiva sul cinema russo antecedente gli anni 30 (ho detto leggera e non interessante, che poi magari qualcuno di voi il cinema lo ama davvero, e poi viene a spiegarmi sotto casa col randello l'influenza a livello mondiale del cinema d'avanguardia russo), se mi accorgo che è matura quanto mia nipote di 3 anni e un filo più paranoica di Mel Gibson in Ipotesi di complotto, ecco io, tendenzialmente, giro i tacchi e inizio a correre più velocemente che posso.

Poi è normalissimo che in un rapporto che vuoi far durare più di un paio di settimane uno o due compromessi bisogna farli e un poco di impegno per compiacere quella persona che mi sopporta e supporta nei miei momenti peggiori devo pure mettercelo (a dirla tutta dovrebbe pure venire naturale farlo, se alla suddetta persona ci tengo veramente e non ci sto insieme solo per convenienza).
Poi basta cacciare il fiato, che a dire che quattro ore al giorno di telefonate, no, proprio non sono il minimo necessario, sono eccessive da ogni punto di vista non ci vuole niente; poi o l'altro capisce o forse non ho valutato attentamente con che persona mi stavo andando a incasinare.
Come non ci vuole un genio per capire che se esco con gli amici o semplicemente mi rode o sono stanco e me ne resto a casa non ho esattamente voglia di passare la serata al telefono con te e si, magari un massaggio te lo mando, magari proprio perchè fa piacere a me farlo, ma uno, non settanta, altrimenti ti passavo a prendere e semplicemente stavamo insieme, o no?
Non tollera i miei amici? O non tollero i suoi amici, che è la stessa cosa a parti rigirate? Ma proprio nessuno nessuno? Non è credibile. Perchè se non sopporta nessuna delle persone che frequento non dovrebbe tollerare neanche me, che non credo di essere poi così diverso dalle persone con le quali mi accompagno da una vita. Semplicemente preferisce i suoi di amici, e non gli interessa minimamente farmi perdere tutti i miei pur di stare con lei. Ne prendo nota, mi accorgo che quando l'ho conosciuta, oltre al colore preferito e al segno, potevo pure chiedergli se per caso non fosse una stronza egoista (magari non proprio in maniera così diretta) e sprecarci meno tempo insieme.

Che poi tutta sta cosa qua la sto scrivendo da single è tutta un'altra storia; che riesco ad andare al pub pure otto volte a settimana, che oltre la vista mi si sdoppiano pure i giorni alle volte, che faccio tutte le cazzate che mi vengono in mente e che la prima che mi viene a proporre di impegnarmi e mettere la testa a posto e cambiare stile di vita la spiano con la macchina è assolutamente irrilevante.
E la prossima volta che troverò interessante una persona, giuro, proverò a conoscerla senza guardarla sempre attraverso il fondo di un boccale. Giuro. Quasi.

martedì 12 gennaio 2010

Scleropatomittenza 6: il compleanno del boss

Oggi quaggiù è decisamente una buona giornata.
Il felide fastidioso finalmente ha schiodato dal sottoscala che qui chiamiamo ufficio, e se ne è andata a lavorare ai piani alti; si son stappate bottiglie di un certo spessore ieri sera qui sotto.
Le veline, due colleghe molto simpatiche, talmente simpatiche che continuano a rispondere con il sorriso a questo nomignolo quando io avrei già da tempo provveduto a decapitare il comico di turno con la lima per le unghie, dicono che lassù decisamente non è una buona giornata, che il felide fastidioso se lo sono ritrovate in stanza.
L'influenza nefanda del felide comunque non si è esaurita del tutto, che certi miracoli non riesce a farli nemmeno il padreterno.
Ci ha comunicato che venerdì sarà il compleanno del superboss, che è il capo del capo; io, che comunque mi considero una persona a modo, in un'impeto di entusiasmo ho preso a grattarmi la natica destra.
Ci ha detto che entro domani dobbiamo comunicargli i nomi dei partecipanti alla festa; io, che continuo a considerarmi una persona a modo, ho taciuto, mi è sembrato indelicato spiegargli che di venerdì pomeriggio partecipare alla festa del capo è attraente quanto un calcio nelle palle, addirittura doverlo comunicare in anticipo poi... Ma credo che spiegare una cosa del genere ad un felide attaccato agli ammenicoli non credo che valga l'ossigeno sprecato nel farlo.
Ha inoltre tenuto a precisare che aveva deciso, lei, che noi maschietti (uh!?) avremmo portato da bere, al resto pensavano ai piani alti. Ricapitolando io dovrei venire, comunicando il nome in anticipo, ritardando l'uscita dall'ufficio di venerdì sera, alla festa di un burocrate, e pagarvi pure da bere? Io, precario, con lo stipendio di dicembre dimezzato dalle ferie forzate? Non il superboss, quello che ha il contratto blindato e prende, esclusi eventuali compensi extracurriculari, al mese quando io prendo in un anno?
Io, che ci provo ad essere una persona a modo anche se fanno veramente di tutto per impedirmelo, mi sono esibito in una risata che così di cuore non succedeva da un pò, e sono uscito a fumare, che era proprio il caso.

Che poi io, questo grande capo, credo di non averlo ancora visto in faccia.

Le altre puntate di questa rubrica le trovate qui:
1,2,3,4 e 5.

Avuncologratulazione Meccanica 1: e a te, anche per questo, grazie.

Non lo sa, o almeno non credo lo sappia, quale stupefacente miracolo sta compiendo.
Non lo sa, non credo mi importi lo sappia, a volte quasi ho paura che venga a saperlo, che certe cose, a saperle, cambiano tutto, e non per forza in meglio.
Non lo so come faccia a compiere questo miracolo, a esercitare quelle esatte piccolissime pressioni che servono, a spingere sempre nella giusta direzione perchè io assecondi il movimento, ma è così, e non posso che esserne grato.
Che poi magari erano tutte cose che se ne stavano li, sottopelle, preparate da tempo e pronte ad essere, e io non me ne sono mai accorto.
Tutto questo solo per dire che a quanto pare ho tirato di nuovo fuori dal cassetto i quaderni dei miei testi, ho mandato in loop la base e ho ricominciato a vergare rime, assonanze, figure retoriche e giochi di parole; ho ricominciato a pensare in quattro quarti e a consumarmi le corde vocali e a mandare a memoria i testi; a sentire ancora quel fuoco che mi arde dentro.
Ci guarderemo negli occhi ancora, fra un paio di mesi, da sopra a sotto un palco.
E a te, anche per questo, grazie.

lunedì 11 gennaio 2010

Pilocatabasi 1: Pensavo fosse amore, invece era una Smart

Si annega con poco, nell’insicurezza. Personalmente, riesco a strozzarmi con un bicchiere. Figurarsi con l’oceano burrascoso che tende ad essere il resto della vita. Sicuramente, sarà capitato a tutti quelli che fra voi tengono nel portafoglio una patente, nella tasca le chiavi di un’automobile e nelle narici l’odore pieno di una città, di ritrovarsi impantanati nella ricerca di un parcheggio. La disperata e frustante ricerca di un misero rettangolo di spazio libero dove poter posare quel cavolo di ammasso di metallo su gomme, che ci scarrozza su e giù per i nostri affari. E tu sei li, che rallenti, a chilometri dal luogo dove in realtà saresti dovuto scendere, aguzzi la vista, cerchi, prendi misure, fai i conti con i punti della patente che ti rimangono, pensi già a che scusa poter usare con il vigile, guardi ogni marciapiede e le distese infinte davanti alle strisce pedonali con il fare di un maniaco in uno strip club. E poi, c’è sempre una Volvo grigia. E per quanto se ne dica, le Volvo grigie, sono sempre dispensatrici di speranza. Dietro una gigantesca ed ingombrante Volvo grigia, lo puoi vedere, se sei attento, attraverso i vetri posteriori della maestà svedese. Il posto auto. Splendido, vuoto, accogliente. E tu ti sbrighi, perché in cuor tuo sai che chi si ferma è perduto e che in quei dodici metri che ti separano da lui, tutto può accadere. Chiunque, lo vorrebbe, il tuo posto. Chiunque, vorrebbe stare al tuo posto. Acceleri, inveisci e lasci del battistrada fumante dietro di te, per prenderti ciò che ti spetta di diritto. Passi la Volvo grigia, inchiodi sterzando, come a dire “Guai a chi si avvicina, è mio”. E nel posto vuoto, ci trovi una Smart. Una piccola, invisibile, insignificante macchina da sedicenne, ma più costosa. Ti viene quasi da chiederti, se la Smart sia stata più veloce di te. Ed invece, ti rendi conto benissimo, che la Smart, li c’era sempre stata e che il tuo occhio, t’ha fregato un’altra volta.

E sono queste le cose che mi rendono insicuro. Insicuro, insoddisfatto. Non è che mi facciano paura, è che proprio mi fanno cagare addosso. Perché ovunque, può esserci una Smart, che tu non vedi, ma pure se non la vedi, sai che può esserci. E cominci a far fatica, a frizionare come un matto, per il tuo obbiettivo. Ti fai domande, cerchi risposte, usi cautela, che prima non avevi mai avuto. Sarà lei il posto per me? Staremo bene insieme, io ed il mio posto auto? Vorrei mai dei bambini dal mio posto auto?

E’ che le gioie, le gratti via con un attimo, le delusioni, un po’ meno. Si, sono delusioni vecchie, che appartengono ad altri posti auto con cui non è andata come avresti voluto, che ora sono lontane dai tuoi pneumatici, ma come si fa a dimenticare il dolore, considerando che i nervi stanno li a dire “se tocchi la lama, sanguini, cretino”?

Forse è solo la corsa, che ci rende attivi, felici. L’obbiettivo è cosa da poco. Questo mi fa dire l’insicurezza. Mi fa dire che è la cerca, la parte bella. Per questo oggi sono un po’ giù. Perché le Smart, mi fanno triste, pure se non ne vedo. E pure se il posto auto è li, io un po’ me la sto facendo sotto. Perché dopo tutta questa attesa, trovarci una Smart, sarebbe come scoprire che il Paradiso, è a mezza pensione.

Attese

Era da un pò che gli giravo intorno, sai com'è, sotto le feste sono rimasto leggermente indietro con la lettura dei feed e ora sto cercando di recuperare; gli giravo intorno da un pò, ma finalmente l'ho letto questo post qui.

Leggevo dell'amore, e dell'attesa, e mi sei tornata in mente. Pensavo a quanto ci abbiano riguardato, nei dieci anni che ci hanno visti camminare uno di fianco all'altra, l'amore e l'attesa. Di come ci siamo aspettati, pazientemente, anno dopo anno, vedendoci crescere, e di come, per impazienza, ci siamo fatti male.
Di come ci siamo incontrati per l'ultima volta, dopo anni, sotto la pioggia sottile di una notte autunnale; di come ci siamo guardati, coscienti entrambi di non avere più voglia di aspettare, di non avere, per una volta, più motivo di aspettare. Di come, mossi da un'istante di fretta, ci siamo fatti male ancora, per l'ultima volta.

Sai, mi sono ritrovato di nuovo ad attendere, ed è una sensazione strana, ora che non sei più tu la persona che aspetto; ma è una bella sensazione, lo sai, la conosci molto bene anche tu, e questa volta, credo, andrà meglio, ora che ho imparato ad aspettare.

sabato 9 gennaio 2010

Il manicomio

Il manicomio è qua, eccolo, proprio al centro della mia testa; migliaia di pazzi, addossati gli uni agli altri, che nei momenti buoni formano sinergie per mostrare una persona equilibrata, a voi che li potete vedere solo nel complesso, da fuori i due soli occhi dietro i quali si accalcano per osservare il mondo.
Voi non lo sapete, voi non ve ne accorgete, ma quei pazzi sono li, nel manicomio proprio dentro la mia testa, che strepitano e urlano ognuno una sola, singola nota angosciante.
Ce ne sono due che si urlano in faccia, uno urla che l'ama, uno urla che l'odia, e se quello che l'ama ora si sente di più è solo per la potenza del controcanto che gli fanno dietro gli altri pazzi: uno che lei non ti ama, uno che lei non è ciò che sembra, uno sa solo che ti chiama, uno urla il modo devastante in cui lei è bella, uno come ride, uno come balla, uno tace, ma si da un gran da fare, a renderti la testa leggera e un poco più silenziosa quando ti perdi nei suoi occhi.
Uno, e la sua voce, sola, sovrasta tutte le altre, urla di lui, della sua morte; uno ti urla la tua colpa, un'altro, figlio di puttana con la voce flebile, gli sussurra contro la sua follia.
Uno ti chiama padre, uno figlio e uno fratello, uno urla con parole incomprensibili, cercando di pronunciare l'unica in grado di unire insieme queste tre.
Uno ti chiama alla tua vita, e forse nemmeno è pazzo, solo frustrato per non essere mai ascoltato. Uno ti chiama uomo, uno bambino, e ballano insieme sui resti marci della tua coscienza.
Urlano tutti, per attirare la tua attenzione, ognuno con la propria voce, ognuno la sua follia, ma mai, mai pronunciando l'unica parola che potrebbe avere un significato: il tuo nome, il loro nome, la parola che, sola, è in grado di definirti, di mettere a tacere e far rinsavire tutti i matti del manicomio che se ne sta li, proprio al centro della tua testa.

venerdì 8 gennaio 2010

Scleropatomittenza 5: e buongiorno anche a voi

Ieri avevo detto che avevo una cosa da dirvi.
Ma mi sa che non ve la dico più, o almeno non oggi, che pare proprio abbia smesso di essere reale.
Che ho il mio inferno personale, io, che si nasconde dietro gli angoli bui; aspetta, il mio inferno personale, l'attimo esatto in cui comincio a rilassarmi, abbasso la guardia, inizio a dire "pare che vada tutto be..." e mi salta addosso da dietro. Giusto per ricordarmi che è la.

E buongiorno anche a voi

giovedì 7 gennaio 2010

Avevo una cosa da dirvi

Innanzitutto credo che delle scuse siano doverose.
Si, sono stato leggerissimamente assente sotto feste, è che queste ferie si sono rivelate più impegnative di quanto pensassi. Ma molto di più. Infinitamente di più.
Ora comunque vi scrivo dal sottoscala che io e Mike chiamiamo ufficio, e prometto di tornare a postare regolare.

Anche tornare in ufficio si è rivelato molto più impegnativo di quanto pensassi. Già il fatto di guidare con un occhio chiuso per non vederci doppio non ha aiutato molto. Che poi è una cosa che sono abituato a far di sera, non di prima mattina in mezzo al traffico. Anche incontrare appena entrato il felide fastidioso non è che mi ha giovato granchè. Che ha pure un sesto senso, il felide, per azzeccare la battuta più adatta a farti saltare i nervi. Fare colazione con Mike ha lievemente migliorato la cosa, e il capo per ora si comporta in modo umano; magari questa non sarà la pessima giornata che pensavo.

Avevo una cosa da dirvi, ma le parole sono andate altrove, e mi sa che la cosa che ho da dirvi riprovo a dirvela domani.

domenica 3 gennaio 2010

L'Amata Libertà

Senza permesso e sperando di non far pensiero sgradito a nessuno, posto anche io un testo.
Scritto dal mio chitarrista, Brian il Gatto...
perchè lo faccio? perchè leggo questo blog...e questo pensiero non stona affatto.

Spero vi piaccia.

L'Amata Libertà:

Si parla tanto di Libertà
di quanto sia importante,
del diritto ad averla,
ma io non sò più cos'è

l'amata Libertà
che tutti pensano di avere,
oramai è solo una parola
senza più significato.

Parlare di Libertà,
ed essere liberi
sono due cose
completamente differenti,

io non mi sento libero
quando guardo la televisione,
quando leggo i giornali,
quando parlo con la gente.

Io non mi sento libero
di dire quel che penso,
potrei essere radiato
dalla brava civiltà.

Io non mi sento libero
quando vedo gli altri
passivi e indifferenti
credenti di esserlo.

Io non mi sento libero
quando invadono i miei spazi,
entrando dentro casa
per dire cosa devo pensare.

...e lo fanno
e come se lo fanno
ogni giorno con la scatola magica
ti dicono come devi essere,

chi devi essere
chi è buono, chi è cattivo,
ma non per il tuo bene
ma per tenerti a cuccia

bravo cagnolino
ha la pappa,
dove dormire,
e dove pisciare.

Sembra che alla gente gli vada bene
avere il suo prato, la sua macchina,
la sua casetta, il suo falso benessere,
il resto non gli importa.

Che il cervello non sia più di sua proprietà
è l'ultima cosa che conta
l'importante è avere, possedere,
tutto il progresso materiale

E' così che si sono comprati la tua libertà
e tu l'hai venduta per niente

Quando la casa invecchierà
la macchina si romperà
rimarrai solo con la tua vita di plastica
incelofanata dalla finta libertà
che t'hanno regalato
in cambio del silenzio.

(Brian Riente)

E poi vi amo, veramente, in maniera viscerale

Ho visto il sole andare a dormire e poi risvegliarsi, mentre io tiravo dritto come una freccia, a shakerare le variabili della mia personalissima equazione caotica.
Che poi, in questo primo sabato della nuova decade, di cose ne ho capite un fottio.
Primo: io e lo stile di vita da straight edge non andremo mai d'accordo.
Secondo: anche se sono una gran persona, l'alcol migliora parecchio la situazione, sia per me che per gli altri.
Terzo: dopo tre decadi che calpesto lo stesso vostro pianeta posso ancora stupirmi ad infrangere i miei limiti, anche se la prossima volta devo riuscire a farlo senza supporti esterni.
Quarto: camminare nell'aria fredda dell'alba è ancora la sensazione più bella del mondo, e ancora non concilia il sonno, e se hai le gambe nervose di adrenalina potresti anche camminare per ore. Grazie a Dio ci sono post che aspettano di essere scritti che ti riportano a casa.

E poi vi amo, veramente, in maniera viscerale, a voi che mi accompagnate nei miei deliri, nelle mie serate, nella mia vita che per voi ha riniziato a scorrere potente, e che ora dormite. Quindi, per ora, anche se il sole mi inonda la stanza, buonanotte.

sabato 2 gennaio 2010

Idrogrammatologia 4: rapporto di causa-effetto collaterale

Se potessimo prevedere le conseguenze di ogni nostro gesto tutto sarebbe più semplice, magari appena un pelo più noioso.
Fortunatamente l'infinito si manifesta in tutta la sua sardonica potenza attraverso le mille anse della teoria del caos.
Succede così che dalla presa di coscienza di un mio personale e banalissimo bisogno sono arrivato a fare jogging il primo dell'anno, dopo aver smesso di fumare e di bere.
Succede così che dalla presa di posizione dello stesso personale e banalissimo bisogno di un'altro si arrivi a sfasciare famiglie già abbastanza avviate.
Sta di fatto che al momento ho parecchia apprensione a prendere coscienza dei miei bisogni, anche quelli più banali; per dire adesso mi sta venendo sete, potrei, visto l'andazzo, ritrovarmi monaco in Nepal attraverso quattro ineccepibili passaggi.

Ora, se permettere, io andrei, che ho variabili da aggiungere all'equazione caotica che sto vivendo al momento

Anno zero.

IoNonTremo è la maschera. Copre il volto di un uomo per creare un immagine da muovere qui online, come una marionetta.
IoNonTremo è un nome che al tempo stesso è un programma, un nome che dice tutto (e dice niente), tre parole: IO, una presa di posizione ontologica, dire IO vuol dire Esisto. NON una negazione, l'ammissione dei contrasti in cui si muove la mia vita. E poi TREMO, un verbo che è un capolavoro. Si trema di freddo, di paura, di gioia, si trema di malattia, si trAma (l'unione fra trema e ama, e al tempo stesso tessere una tela o stendere la trama di un romanzo, ordire un piano, lentamente, piano piano).

IoNonTremo è fantasia. Bella, ma fantasia.
L'uomo è Danilo Cipollini, ed è entusiasta.

Finalmente è finito il 2009, un'annata mediamente di merda, con punte "molto di merda" fino ad ottobre, e "ottima" da ottobre a dicembre. Da qui, la media: mediamente di merda.
Sono entrato in questo 2010 di corsa, sfondando la porta al suono del trenino di capodanno (peppè peppè peppè), portandomi dietro le mie ossa rotte per le botte del 2009, i muscoli doloranti per lo sforzo, e un libro sotto braccio.
Un libro MIO sotto braccio, un libro scritto da me.

Una delle poche cose che salverei di quest'anno.
Non so ancor quando uscirà, non so ancora con chi uscirà (trattative in corso), ma uscirà... è fra i buoni propositi del 2010. E, normalmente, quando mi faccio una promessa cerco di mantenerla: sono uno con cui non è bene avere debiti, lo so bene.

Ora che l'ho finito, mentre rileggo le ultime pagine, mi viene voglia di averlo già fra le mani, stampato, finito.
Per questo non resisto e pubblico qui un estratto del primo capitolo.
Che, per assurdo, non c'entra un cazzo col resto della storia.
Ma mi piace, mi piace pensarci ricordando la pioggia di capodanno che lavava via il dolore accumulato, cellulari spenti, occhi stanchi. Mi piace leggerlo e rileggerlo. E farlo leggere a voi.

Enjoy.

Dal prologo di "La Didattica dell'Odio", di Danilo Cipollini.

"Se vi fermate in un giorno di pioggia, in una città, diciamo Roma, diciamo al tramonto, diciamo d'Ottobre, se decidete di fermarvi a Roma, d'Ottobre, al tramonto, mentre piove, ma piove di brutto, piove di quelle piogge di gocce pesanti che inzuppano e quasi fanno male, beh, se deciderete d'Ottobre a Roma di fermarvi al tramonto mentre piove vi accorgerete che la pioggia, sì, la pioggia, fa un piccolo miracolo.

La pioggia mette a nudo le fragilità della gente.

Specialmente quella di Roma, a Ottobre, al tramonto.
Ma ho il sospetto che anche altrove l'effetto possa essere lo stesso.

Non sempre, in verità.
Credo che non faccia lo stesso effetto la pioggia di Messina ad Aprile, né quella di Lodi, a Agosto, di prima mattina, o la stessa pioggia d’Ottobre che cada, però, a Imperia, di notte.

Ma a Ottobre, al tramonto, a Roma, se vi fermate e guardate intorno a voi, mentre piove, e guardate la folla che vi scorre addosso, come acqua sulle rive di un fiume … Vedrete, nel loro sguardo, una piccola disperazione.
La colpa è, io temo, della sensazione, cui la pioggia condanna, di aver perso delle certezze, di non avere più punti di riferimento.

E lì, vedrete scene che resteranno, per voi, indelebili.

Questo perché..
Perché gli esseri umani passano la loro vita, e questo non solo a Roma, e non solo d'Ottobre, a costruirsi piccole corazze.
Le indossano, di norma, in tutte le situazioni per cui sia prevista una, seppur vaga, socialità.
Quando un padre di famiglia dismette le sue ciabatte e si arma di giacca e cravatta per andare a lavorare, con quell'abito assume su di se, contemporaneamente, la sua armatura.

La indossa sull'uscio di casa, dopo aver dato il consueto bacio del buongiorno a sua moglie, e sarà quella corazza a portarlo, sul metrò, mentre si dirige al suo posto di lavoro, a tenere lo sguardo fisso sul quotidiano davanti a sé anziché guardare il dirimpettaio di posto, o il mendicante zigano che gli porge la mano sporca.

Sarà quella corazza a vibrare quando entra al bar e ordina cappuccino e cornetto, stando attentissimo che le vibrazioni nella sua voce non tradiscano nulla che possa essere frainteso, nulla che sia nemmeno lontanamente allusivo verso la barista, che gli sorride.
Già, la Barista … carina, capelli rossi a caschetto, occhi verdi, qualche lentiggine.
Bella, la barista, che a sua volta gli sorride - sorride di rimando al nostro padre di famiglia - perché la sua, di corazza, è una corazza fatta di eterni sorrisi e costante cortesia. L'ha calibrata, in quel bar, attraverso anni di prove, assidue, quotidiane … Assurdi quanto pressanti tentativi di sorriso.
IL sorriso, quello giusto, quello disponibile, cortese, e forse vagamente malizioso (ma appena appena, di quella malizia che la vedi ma non ne sei, poi, così sicuro), un sorriso che attragga i clienti senza, tuttavia, trarre nessuno in inganno – deve essere chiaro cosa realmente sia, quel sorriso..

E cioè, una corazza.

La corazza di un adolescente sarà composta di spavalderie coi compagni di classe e di qualche grammo d'erba nascosto nella tasca dello zaino o, se l’adolescente è meno fortunato, di canzoni ascoltate nel buio della sua cameretta in un’aria impregnata dall’odore forte dei suoi ormoni in pieno risveglio.

Quella d'una puttana, di calze a rete, notti fredde e irrinunciabile sensualità, o al massimo fatta di quello sguardo annoiato che spesso porta gli uomini a illudersi di essere loro, proprio loro, e non gli altri dieci che già ne hanno pagato i servigi quella sera, o i cinque che dopo di loro li pagheranno, l'emozione che lei aspettava.

Sono trucchetti, queste corazze.
Espedienti.
Mezzucci.
Ma non dobbiamo disprezzarle, affatto.
Se non fossero importanti, determinanti, non sprecheremmo tanto tempo, ogni giorno, a perfezionarle, lucidarle, calibrarle.

Le corazze ci servono perché definiscono il nostro ruolo. Stabiliscono qual è il nostro posto nel mondo, o almeno il posto i cui vorremmo stare, quello a cui aspiriamo. Ci servono perché il mondo, se preso tutto insieme, è troppa emozione, un colpo troppo forte, e noi non siamo abbastanza capienti, o forti, da berlo tutto insieme. Traboccheremmo, strariperemmo, e ne saremmo lacerati.

Quindi, ci proteggiamo con le corazze. Attuiamo una selezione all’ingresso nei confronti del mondo.
Limitiamo, per convincerci di non essere limitati da lui.

Sono però, queste corazze, corazze idrosolubili. Certe piogge possono scioglierle, ad esempio quella d'Ottobre, a Roma, al tramonto. E allora, tutte le certezze difficilmente accumulate, per un po' spariscono.
E' qui, proprio qui, che può accadere persino che una donna in carriera chieda un passaggio nella loro auto scassata a due giovani fricchettoni che, normalmente, guarderebbe pensando "spero che mio figlio, quando ne avrò uno, non diventi come loro" per superare una pozzanghera di quelle, chilometriche, che si formano d'improvviso per strada a Roma, d'Ottobre, quando piove gocce pesanti. E' qui che la gente può fuggire a ripararsi ingombrando la veranda di un bar, senza che il proprietario batta ciglio.
Perché la pioggia scioglie le corazze e ci rende nudi. La chiave è proprio qui. Nudi in maniera equanime, non qualcuno nudo e qualcuno no.
Tutti nudi, e per questo solidali fra noi.
E’ un attimo, subito ci si unisce, ci si raggruppa, si stabiliscono ponti e legami.

Nessun uomo è un isola, e anche se in realtà non fa altro che cercare di rendersi tale, per tutta la sua vita, proprio nel momento in cui l'acqua, davvero, sale e lo circonda, nel momento in cui più assomiglia a quell’isola a cui aspira...
Beh, proprio quello è il momento in cui più si distanzia da essa.

Se mai vi troverete sotto la pioggia, al tramonto, d'Ottobre, preferibilmente a Roma, ma anche in qualsiasi altra città, va bene lo stesso … Se mai vi accorgerete che gli uomini intorno a voi stanno smettendo di essere isole, beh, per favore, fate una cosa per me.
Anziché correre a ripararvi, anziché smettere, ostinatamente, a vostra volta di essere isole, anziché fare spazio sotto al vostro ombrello a una vecchietta o a un bambino, come forse fareste, mentre la vostra corazza si scioglie, voi chiudete l'ombrello e rimanete fermi, sotto la pioggia d'Ottobre, sotto al peso infinito del tramonto.
E accettate, con onestà, di essere isole fino in fondo.
Non c’è niente di vero se non l’Odio, e la vostra corazza, a questo Mondo.".