giovedì 14 gennaio 2010
Sono piccole delusioni ma uccidono
Ricordate che vi dicevo qui che avevo ancora dei limiti personali da infrangere, e che m'ero preso un mezzo impegno ad infrangerli senza supporti esterni? A quanto pare ieri sera questo mezzo impegno sono riuscito a rispettarlo. Mi sono riuscito a produrre in quello che è per me un atto eroico senza precedenti che, se solo non fosse poi risultato quel monumento all'inutilità che al momento sembra, mi sarei prodotto in un post da antologia sul mio personalissimo pantheon. Che poi magari so farò, il suddetto misticissimo post, solo aspetto un'occasione migliore.
Ma veniamo ai fatti.
Anzi, partiamo con una premessa.
Il mio più grande limite è la timidezza; che sono una persona che di cose da dire, a furia di ascoltare e pensarci su, ne avrei da vendere, e invece niente; me ne sto li, il più delle volte, a far da mobilia ed ascoltare, con l'ansia che mi scala la colonna vertebrale e mi si aggrappa in testa al solo pensiero di venire li e presentarmi.
Ecco, e ora, se ci riusciamo, veniamo ai fatti.
Ieri sera, tanto per cambiare, sono stato nel solito locale, che dopo dodici anni che mi versa da bere l'oste di li è diventato uno di famiglia, e se non mi faccio vedere almeno un paio di volte a settimana mi chiama a casa per sapere se va tutto bene.
Ieri sera, dicevo, sono stato al solito locale, con le persone con cui son solito accompagnarmi.
Scusate, sto diventando scontato, il problema è che mi risulta complicato riuscire a parlarvi dell'essenziale senza contestualizzarlo con tutta la banalità che lo circonda.
Fatto sta che una mia amica mi invita a brindare con lei e una sua amica con del brachetto e io, che sono timido, ma di una timidezza efficentissima nell'evitarmi tutte quelle situazioni in cui mi sentirei a disagio, ringrazio ma "no, veramente, è che proprio io col brachetto non mi sento a mio agio, ma fai come se avessi brindato" e fuggo fuori a fumare. Neanche mi accorgo di quello che ho fatto.
Poi ci ripenso, mi faccio strasportare dall'ispirazione o dall'intervento divino, fate voi, e torno dentro, prendo il mio boccale (che per me è come la coperta di Linus, che dopo una dozzina d'anni a frequentarlo assiduamente il mio oste preferito m'ha concesso di avere il boccale personale) appena appena intaccato, prendo una sedia da un tavolo a caso e vado a compiere il mio piccolo atto di eroismo.
Mi sono unito al loro tavolo, mi sono prodotto, ma così, giusto per rompere il ghiaccio, in un'enorme figura da evitare, che io ricordo a malapena il compleanno di mio fratello (quello dei miei ho rinunciato da tempo a cercare di memorizzarlo), figurarsi se potevo ricordarmi quello della mia amica e mi presento. E sono riuscito addirittura a sostenere una conversazione. Facendomi dei grandi applausi interiori, e senza nemmeno una punta di panico.
Ricordate che ieri dicevo che mi sarei impegnato a conoscere le persone senza bermi l'impossibile? L'ho fatto, e anche se si è parlato di facezie e non, che so, delle avanguardie cinematografiche russe d'inizio secolo, mi è parso di trovarmi di fronte ad una persona a modo e con un certo spessore, con cui magari val la pena spendere del tempo a conoscersi. E mi son sentito addosso lo sguardo benevolo delle mie urbanizzatissime divinità, intervenute a premiare il mio personalissimo atto di eroismo.
Ci stringo amicizia sul faccialibro, che è una cosa che fa molto 2.0 e che comunque rende la comunicazione parecchio più semplice, e...
...ed è fidanzata.
Ufficialmente.
E il mio personalissimo atto eroico è caduto nel nulla. E chissà quando ce ne sarà un'altro!
Queste qua sono delusioni piccole, ma ti uccidono.
lunedì 11 gennaio 2010
Pilocatabasi 1: Pensavo fosse amore, invece era una Smart
Si annega con poco, nell’insicurezza. Personalmente, riesco a strozzarmi con un bicchiere. Figurarsi con l’oceano burrascoso che tende ad essere il resto della vita. Sicuramente, sarà capitato a tutti quelli che fra voi tengono nel portafoglio una patente, nella tasca le chiavi di un’automobile e nelle narici l’odore pieno di una città, di ritrovarsi impantanati nella ricerca di un parcheggio. La disperata e frustante ricerca di un misero rettangolo di spazio libero dove poter posare quel cavolo di ammasso di metallo su gomme, che ci scarrozza su e giù per i nostri affari. E tu sei li, che rallenti, a chilometri dal luogo dove in realtà saresti dovuto scendere, aguzzi la vista, cerchi, prendi misure, fai i conti con i punti della patente che ti rimangono, pensi già a che scusa poter usare con il vigile, guardi ogni marciapiede e le distese infinte davanti alle strisce pedonali con il fare di un maniaco in uno strip club. E poi, c’è sempre una Volvo grigia. E per quanto se ne dica, le Volvo grigie, sono sempre dispensatrici di speranza. Dietro una gigantesca ed ingombrante Volvo grigia, lo puoi vedere, se sei attento, attraverso i vetri posteriori della maestà svedese. Il posto auto. Splendido, vuoto, accogliente. E tu ti sbrighi, perché in cuor tuo sai che chi si ferma è perduto e che in quei dodici metri che ti separano da lui, tutto può accadere. Chiunque, lo vorrebbe, il tuo posto. Chiunque, vorrebbe stare al tuo posto. Acceleri, inveisci e lasci del battistrada fumante dietro di te, per prenderti ciò che ti spetta di diritto. Passi la Volvo grigia, inchiodi sterzando, come a dire “Guai a chi si avvicina, è mio”. E nel posto vuoto, ci trovi una Smart. Una piccola, invisibile, insignificante macchina da sedicenne, ma più costosa. Ti viene quasi da chiederti, se la Smart sia stata più veloce di te. Ed invece, ti rendi conto benissimo, che la Smart, li c’era sempre stata e che il tuo occhio, t’ha fregato un’altra volta.
E sono queste le cose che mi rendono insicuro. Insicuro, insoddisfatto. Non è che mi facciano paura, è che proprio mi fanno cagare addosso. Perché ovunque, può esserci una Smart, che tu non vedi, ma pure se non la vedi, sai che può esserci. E cominci a far fatica, a frizionare come un matto, per il tuo obbiettivo. Ti fai domande, cerchi risposte, usi cautela, che prima non avevi mai avuto. Sarà lei il posto per me? Staremo bene insieme, io ed il mio posto auto? Vorrei mai dei bambini dal mio posto auto?
E’ che le gioie, le gratti via con un attimo, le delusioni, un po’ meno. Si, sono delusioni vecchie, che appartengono ad altri posti auto con cui non è andata come avresti voluto, che ora sono lontane dai tuoi pneumatici, ma come si fa a dimenticare il dolore, considerando che i nervi stanno li a dire “se tocchi la lama, sanguini, cretino”?
Forse è solo la corsa, che ci rende attivi, felici. L’obbiettivo è cosa da poco. Questo mi fa dire l’insicurezza. Mi fa dire che è la cerca, la parte bella. Per questo oggi sono un po’ giù. Perché le Smart, mi fanno triste, pure se non ne vedo. E pure se il posto auto è li, io un po’ me la sto facendo sotto. Perché dopo tutta questa attesa, trovarci una Smart, sarebbe come scoprire che il Paradiso, è a mezza pensione.