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martedì 12 gennaio 2010

Scleropatomittenza 6: il compleanno del boss

Oggi quaggiù è decisamente una buona giornata.
Il felide fastidioso finalmente ha schiodato dal sottoscala che qui chiamiamo ufficio, e se ne è andata a lavorare ai piani alti; si son stappate bottiglie di un certo spessore ieri sera qui sotto.
Le veline, due colleghe molto simpatiche, talmente simpatiche che continuano a rispondere con il sorriso a questo nomignolo quando io avrei già da tempo provveduto a decapitare il comico di turno con la lima per le unghie, dicono che lassù decisamente non è una buona giornata, che il felide fastidioso se lo sono ritrovate in stanza.
L'influenza nefanda del felide comunque non si è esaurita del tutto, che certi miracoli non riesce a farli nemmeno il padreterno.
Ci ha comunicato che venerdì sarà il compleanno del superboss, che è il capo del capo; io, che comunque mi considero una persona a modo, in un'impeto di entusiasmo ho preso a grattarmi la natica destra.
Ci ha detto che entro domani dobbiamo comunicargli i nomi dei partecipanti alla festa; io, che continuo a considerarmi una persona a modo, ho taciuto, mi è sembrato indelicato spiegargli che di venerdì pomeriggio partecipare alla festa del capo è attraente quanto un calcio nelle palle, addirittura doverlo comunicare in anticipo poi... Ma credo che spiegare una cosa del genere ad un felide attaccato agli ammenicoli non credo che valga l'ossigeno sprecato nel farlo.
Ha inoltre tenuto a precisare che aveva deciso, lei, che noi maschietti (uh!?) avremmo portato da bere, al resto pensavano ai piani alti. Ricapitolando io dovrei venire, comunicando il nome in anticipo, ritardando l'uscita dall'ufficio di venerdì sera, alla festa di un burocrate, e pagarvi pure da bere? Io, precario, con lo stipendio di dicembre dimezzato dalle ferie forzate? Non il superboss, quello che ha il contratto blindato e prende, esclusi eventuali compensi extracurriculari, al mese quando io prendo in un anno?
Io, che ci provo ad essere una persona a modo anche se fanno veramente di tutto per impedirmelo, mi sono esibito in una risata che così di cuore non succedeva da un pò, e sono uscito a fumare, che era proprio il caso.

Che poi io, questo grande capo, credo di non averlo ancora visto in faccia.

Le altre puntate di questa rubrica le trovate qui:
1,2,3,4 e 5.

venerdì 18 dicembre 2009

Scleropatomittenza 4: gli auguri del capo

Ieri ero riuscito a scampare all'orrida sceneggiata, oggi, invece, non c'è stato verso.

Noto con preoccupazione fin dalla mattina che il fastidiosissimo felide già citato qui impartisce tutta eccitata ordini ai suoi succubi, gli fa pulire scrivanie, indossare stupidi cappellini natalizi, imbandire tavole.
Arrivano teglie di pizza, mortadella, mozzarelle, bottiglie di peroni e io, con un moto di disgusto, mi preparo a sopportare l'insopportabile.
Il capo, si, quello che ogni volta che scende nel sottoscala che chiamiamo ufficio non si rilassa se non ha insultato e accusato di nullafacenza e incompetenza almeno un paio di noi, quello che l'altro ieri ti voleva licenziare, quello che ti ha appena fatto sapere che in ferie ci vai punto e basta, e sti gran cavoli che non te le pagano, si, quel gran pezzo d'uomo, si presenta sorridente all'ora di pranzo, ci offende scherzosamente un pochettino e poi, quando sono arrivati tutti, inizia il discorsetto di natale.
E lo fa buonista, il discorsetto, pieno di stima e di speranze di continuare insieme, e di essere tutti una grande famiglia. E a me, che sto alla diplomazia come un vegetariano a una braciolata, un travaso di bile non me lo toglie nessuno.
A migliorare la situazione interviene il Lacchè del capo, che gira con una macchina da 80 mila euro e ha la sola funzione di fare il lacchè del capo, appunto. E ci tiene, e pure parecchio, a precisare quanto è grande il capo, che ci tiene tutti qui, che si sobbarca onori e oneri, più di tutti noi, in questo grande viaggio che facciamo insieme.
E a me, che mi faccio lo straordinario non pagato, e il più grande complimento ricevuto è un "Non capisci un cazzo", mi vien voglia di infilarglieli, onori, oneri e pure un paio di panettoni dove meglio potrebbe comprenderne l'importanza all'uomo che straparla.

Che poi a me il natale piace. Mi piace soprattutto la luce che fa l'albero di natale che ho a casa, mi piace leggere appoggiato al panno verde sul tavolo in salone, mi piace rivedere quel paio di parenti con cui sto bene, ma che, per un motivo o per un'altro, riesco a vedere solo a natale, e ad anni alterni.

Quando il capo nota il panettone, e lo apprezza, che è da intenditori, a me vengono in mente i manager milanesi che ti minacciano da febbraio a dicembre, dicendoti che l'obbiettivo, per loro, è arrivare insieme al panettone. Tanto non è loro il posto a rischio. Raggiungo il mio personale limite e me ne vado, guardatemi pure male. E fottetevi, voi e il natale, che me lo state mandando di traverso.