venerdì 12 marzo 2010

Aspettando i Lampioni

Si fumavano sigarette spente, che non c'era un cazzo da festeggiare. A quel tempo c'era un tempo peggio del colera, con lo scemo che pure lui stava zitto, tanto male si stava.

Aveva smesso d'urlare un paio d'anni prima e aveva svuotato la piazza, rimesso i pantaloni. Al pettine rimanevano due denti, così decisi di farlo, di tirarmeli via quei ricci. Ma l’avrei fatto più tardi, quando il sole al suo picco me li avrebbe fatti bestemmiare, quei capelli. I miei capelli. Nessuno ce li aveva come me. E la bella lo sapeva. E fra tutte a lei toccò il velo della sposa nera, moglie d'un marito morto, che due anni fa lo scemo trovò appeso al ponte che il vento se lo portava, col viso d'acqua e acquitrino e la camicia pulita, le mani alla schiena, che da solo non c'era salito a mettersi il cappio. E la sposa lo sapeva. E il lutto investiva le strade a vederla passare, la sposa nera. E sentivo l'elettrico della tempesta che doveva farsi respirare fra poco e sentivo i pantaloni tirare a vederla che l'avrei morsa e strappata e spezzata e lasciata a piangere il pianto, li, dietro il fienile. Se solo non fosse stata moglie d'un uomo che nato e cresciuto come mio fratello, mio fratello era morto. Neanche un fazzoletto avevo bagnato al suo arrivederci, che presto l'avrei raggiunto, che non eravamo anime buone, all'inferno l'avrei raggiunto. C'era stato il nemico a portarlo due anni prima sulla fune, ed ancora le impronte riuscivo a vedere, degli scarponi e dei piedi trascinati d'un mezzo cadavere. Si stava male, a quei tempi, d'un male che la peste ci sembrava uno scherzo. D'un male che a seppellire la gente si provava invidia. L'abbazia l'avevano chiusa e i vecchi non erano ancora troppo vecchi e il pensiero del fronte non ce l'aveva nessuno. Il sole bruciava e se non c'era, il nuvolo ci tirava addosso il diluvio, il diluvio da mettere le sacche giù al fiume, con la paura di perdere quel niente che neanche avevamo. S'era fatto quasi il tocco del mezzogiorno che tirai la prima imprecazione. Decisi che non era più tempo di mandarla a dire. Inforcai le vie, coi bambini che riuscivano a nascondersi dietro ai bastoni, che avevano in faccia l'orrore del dover aspettare tutta una notte prima di svegliarsi e respirare un'altra volta. Scesi dove c'era quello con le lame pulite, e mi sedetti, senza dirgli niente. Lui mi chiese, titubava. Non risposi e mi accesi la sigaretta, guardando dritto, con i denti stretti. Lui capì. Me li levò dalla testa, tondi come erano, perfetti. Cadevano a terra come picconi, scavandomi dentro. Dopo una ciocca, un'altra. M'alzai alla fine e guardai la terra. Ne avevo proprio tanti. Buttai l'ultimo tiro, perché niente, niente doveva rimanermi. M'asciugai il viso dopo averle cacciate fuori salate. E niente, niente m'era rimasto. Risalii e li presi uno per uno. Neanche un solo uomo mi chiese dei capelli. Neanche un solo uomo mi chiese, dove, o perché. Andammo dietro l'abbazia, in una casa piccola e prendemmo tutte le armi e prima della notte stessa ci saremmo stati giù al fronte, senza averci mai pensato davvero.

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