giovedì 1 aprile 2010

Tetrapilofonica #1: Isis - Panopticon


La apro così, senza consulto, questa rubrica. Qui si parla più o meno di musica e dischi ben precisi. In sincerità, non so se protraendola nel tempo, potrà diventare un semplice riassunto di un racconto musicale congiunto, a tappe ferme. Vecchi o nuovi dischi che voglio consigliarvi. O se ci sarà la voglia di tralasciare gli spazi vuoti inveendo contro il fattore pessimo della musica fatta a cazzo di cane. Non so. Per ora, è solo armonia, che è quella che è, mite lingua all’orecchio:

Isis - Panopticon (2004)

L’unicità del gesto, nel suo fluire, è evidente. Si mascherano le fasi, si limano con maestria i punti ed i loro spessori, affinché diventino un segmento all’occhio, composto e senza vie intermedie. E “So Did We” lascia alla mente immaginare che lo stereo, si sia acceso in ritardo, che lo spettacolo sia già cominciato e che dobbiamo per forza di cose affrettarci nel trovare un posto in platea. E’ già cominciato, da poco, ma è già cominciato e siamo in ritardo. Anche se il cd è appena andato in play. E allora prendiamo posto, sgomenti, nel verso che si piega ai voleri della chitarra, fatta come se fosse una sorpresa in maschera, studiata e sottile, sottile da poter tagliare in due la sensazione che sia la musica a guidare il ferro chirurgico che sta separando l’ambiente liquido della melodia sottesa, al muro spesso dei distorsori, che sostiene la struttura. E’ un movimento simile a quello d’una medusa, con ampie aperture e repentine spinte verso il prossimo giro. E nel pulviscolo pare ruotare la canzone, giungendo senza sosta lungo le discese increspate di “Backlit”, dove è quel odore di post rock, ad avere in pasto la scena, scegliendo la dose di una voce growl in miscela d’esistenza con il sensato e straziante senso di incompiutezza d’una voce urlante che pare partire da lontano, nel tempo, facendoci ritornare a quella prima metà degli anni novanta dove pareva dovesse esserci qualcosa, da qualche parte, che non era chiara e pareva che quella litania dovesse partire per poi ritornare con la soluzione in tasca. Tutto per poi tornare ad impollinare il nuovo concetto di progressive, felicemente indossato dagli Opeth, forse ben più che dai Dream Teather, radicati invece in una luminosità preservata dagli anni ottanta. Ed è questo forse il concetto di post rock, intriso di malinconia spaventevole, dove l’acerbo gusto per la tecnica, che pure risulta ben presente, viene messo in secondo piano in una bolgia di rumori ed arpeggi in eco, impeccabilmente sovrapposti in ripetute gemme opache, senza riflessi, che non abbagliano gli occhi, nella loro preziosità. Costruire il pezzo per arrivare alla terza traccia “In Fiction”, autentico capolavoro, attraverso l’uso del tempo, senza l’abuso auto celebrativo d’un controtempo di troppo. Lunghe suite. Evoluzioni, dicevamo, d’un teatro in cui la committenza fra la semplicità del crescendo e la capacità d’osare, coglie il frutto dell’introspezione commovente di “Wills Dissolve”, rimando atmosferico a volute aeree e dove, qui si, il controtempo incalza l’esasperazione del voler Comunicare. Non senza cambi od ossessioni, si giunge ad apici dove, dopo oltre tre minuti arriva finalmente la voce a dilaniare tutto quello che era già pronto per essere detto, grazie alla maestria di corde e pelli. Il concetto, lo chiarisce l’apertura al rumore, prepotente, nel simbolico continuo cambiamento che attraversa tutto il disco. Se “Wills Dissolve” si chiude come infrangendosi nell’oceano, "Syndic Calls" racconta la nuova prospettiva dell’essere immersi, nell’annegare. E qui, si discioglie il cammino arrivando fino alla catarsi totalmente intrisa di nero di “Altered Course”, che si presta come fosse ultimo tratto di strada sotterranea, lunga nove minuti, giocata in veli delicati, spostati appena sul palcoscenico da un vento accennato, che precorrono un risveglio memorabile, disegnato nella settima traccia in chiusura, “Grinning Mouths”. Questo è Panopticon, questi sono Gli Isis. Per chi ha amato la claustrofobia di Lateralus, dei Tool, ma anche per chi vuole semplicemente immergersi in un grande disco.

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