lunedì 8 febbraio 2010

La vera falsa storia dei Blue Machine

Salamandra ha da battere il tempo giusto, sennò lo picchio. Per noi che da un po’ stiamo da queste parti è normale vederlo partire, tre piatti alla volta verso un dove che sa solo lui. Rulla e controtempa che si sente Dio; fa tutto un frastuono di TUM-PA, poi ammazza il crash e cerca di violentare il charlestone, Buddah lo strafulmini. Non ti segue, non ti sente, poi quando smette, sdenta un sorriso sudato e noi, sempre noi, fermi a guardarlo riposare le mani sulla bottiglia di Romanella, quella dolce, arrendevole, miserabile, arrivata qui per pochi spiccioli, sacrificati alla causa. Onore a loro.

-‘Tacci tua, Salama'.

Più lo guardo più m’accorgo che il suo miglior talento è non avere talento. E questo mi fa felice, perché co’ noantri ce sta a pennello. Io da par mio sguiscio sulle corde della mia sei-gemiti, che continua a grugnire e lamentarsi, ma non scappa mai. Spavento gli astanti e do la colpa al jack del pedale per ogni tuono che spruzzo a ciel sereno, poi se bestemmio, gli altri ci credono pure. Gelli tira su uno starnuto e prende tre note in una, fa la mano morta all’Hammond che a quanto pare ci sta pure, visto il suono lungo e muto che fa. Ci sbrighiamo nei quattro quarti, prima che Salamandra ricominci, sfioriamo quasi il tempo, un paio di volte, e il Vecchio suona quel basso che non lo sente nessuno, ma mentre lo vedo in playback mi pare quasi sia bravo, quindi alzo ancora un po’ il mio volume, sia mai che se ne accorga. Franz stura la voce a forza di tabacco, che Venere gli manca. Ammicca al posa cicche e urla al microfono che o si fa come dice lui, o non si fa. Così funziona un gruppo. Lui si inasprisce piacione vicino l’asta, da uno sguardo a quelle li che sono venute a guardare. Io avevo detto che non le volevo, che mi deconcentrano, che fanno solo confusione. Allora Franz fa finta di saperne qualcosa e tira fuori il discorso che s’è imparato, tutto sul fatto che Bla bla bla. Mica l’ho mai sentito, io, tanto che sotto lo scherzo con un Peow sottile in Mi cantino. Salamandra, se c’è da star zitti, invece, prova la grancassa, si la grancassa, quella che da cinque anni si trova sempre nello stesso posto, quella che da cinque anni suona sempre uguale, quella che probabilmente per un altro quinquennio continuerà a suonare uguale. Ma si sa che i batteristi son stronzi. Franz si innervosisce, fa per andarsene, ritorna, sgrida, se ne rivà, poi a pagina due, da copione torna e comincia a fare sul serio. La scena serve a far smettere a quelle li all’angolo di giocare con lo smalto e guardarci un po’ di più, a far capire loro che a noi, piace far finta di prenderci sul serio, qui dentro. Che ci sentiamo già grandi, prima ancora di cominciare. Allora si riattacca, e se siamo spaiati e goffi lo copriamo col rumore, mica per ridere. Che i Pink Floyd ci maledicano, penso un poco. E poi Hendirx, i Black Sabbath e tutto il Metallo che viene dopo. Franz s’arrocca, sale sulle scale di note e ci guarda, grattando via il silenzio dallo stomaco, puntando il suo misfatto verso l’apice delle nostre costruzioni. E tutto è come deve essere e tutto si riconcilia, nella sua incoerenza. Gli sbagli sono suoni che percuotiamo e innalziamo, ebbri ed insaziabili, giriamo attorno a questo falò stridente, invocando la pioggia, noi che siamo gli ultimi, con orgoglio rimaniamo tali.

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Poi venne il palco e da lassù vedevamo le volpi-rosse-doppio-malto, che non avranno il nostro scalpo, poche e disinteressate; più in la quelle che non volevo in sala prove. Quando Franz s’appoggiò al gelato girammo forte il volume e nel vuoto pieno ci tuffammo, col pensiero che cadere, era problema d’altri.

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Dedicato a tutti quelli che si sono ubriacati e divertiti in una sala prove.

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