lunedì 21 dicembre 2009

Sodomocinesica 2: Notizie Dal(la) Fronte

E’ un delirio. Piovono alcolici che Dio la manda. Il bancone del locale, è una trincea confortevole, tutti barricati dietro, fra la macchinetta del caffè e la sambuca. Piano d’azione, non pervenuto. Siamo cinque, li fuori è un inferno. I muscoli sono tesi e gli sguardi attenti. Oddio, sto mentendo. I muscoli sono flaccidi e le pance sono tese. Ma il fatto che gli sguardi non siano affatto attenti, può far si che questo particolare, risulti poco. Mi viene in mente quando prendevo per il culo Gianni Morandi che cantava “RATTATTATATA”. Ma adesso la sua chitarra, non suona più ed io, comincio a capire la guerra. E questa, è basata sui sensi, che non essendo vigili, vengono razziati dal nemico, che ne pesca a piena mani, con disinvoltura disarmante.

- Ho una missione per te – urla il capitano di ventura - perlustra la cucina, soldato.

Lui tituba, si turba e tuba, con faccia da piccione, occhi sgranati.

- Perché io? Non ho fame!

- Ma io si, cazzo, vai e non lagnarti.

Il soldato, sa che non tornerà. Anche noi, lo sappiamo. Ma è una vittima sacrificabile, avendo lui la sola capacità di fare il caffè bruciato. Lo saluto, cappello al petto.

- Sei coraggioso, uomo, ora va.

Lui si volta verso di noi, per un ultimo, fugace saluto, mentre i suoi occhi pieni di lacrime scintillano alle luci della vetrinetta di super alcolici.

- Gente stronza come voi, non l’ho mai incontrata. – Queste sono le sue ultime parole di uomo coraggioso e pieno di sentimento per i suoi commilitoni.

Lo vediamo uscire dal bancone ed avviarsi con passo felpato verso la cucina.

Entra dalla porta e lo segue un silenzio di cinque minuti buoni. Poi il grido. Capiamo che è andato.

Uno di noi ha una crisi isterica e comincia a lamentarsi, sottovoce:

- Non sarei mai dovuto venire, non sarei mai dovuto venire!

- Neanche noi, ci aspettavamo di incontrarle. Ma ora è troppo tardi. Siamo qui e dobbiamo ballare. Lo so, ci mangeranno vivi. Sono più svelte, più furbe e meglio armate. Ma noi siamo in superiorità numerica. – gli spiega il capitano di ventura.

- A dire il vero, capitano, ora che ci siamo giocati lui, siamo in numero pari. Forse la sua voglia di supplì, ci ha un poco penalizzati.

Il capitano, che sa fiutare un ammutinamento, tira una bustina di zucchero di canna in testa al tenente. La rivolta, è sedata. Per ora. Sa che è un gesto forte, ma se non avesse agito così, ci saremmo ritrovati a scannarci fra di noi.

Poi, le risate sguaiate, ci gelano l’anima. Eccole, sono tornate all’assalto. Le donne. Hanno invaso il nostro territorio alcolico, ci hanno sparato sorrisi e battute e noi, ora, battiamo in ritirata. Basta uno sguardo e tutti sanno esattamente cosa fare: il segno della croce. Per il resto, gettiamo le speranze alle spalle, e ci apprestiamo, ad essere agnelli nella bocca del lupo.

Schivo un discorso inconcludente, che si infila nel vetro della specchiera. Vedo con orrore, che il capitano, non è altrettanto fortunato. Lo vedo rantolare a terra, innamorato perso. Ora sono io al comando di questa Armata Brancaleone. Si sono portate appresso il cadavere del soldato partito per la cucina. Anche lui, è cotto. Inservibile alla causa. Con un atto eroico, prendo per la collottola i due superstiti e li metto a versare da bere. Se questa è la fine, facciamo che almeno non sia da lucidi. La seconda carica è devastante. Non faccio in tempo a voltarmi, che una risata esplosiva e senza senso, colpisce il tenente. Anche lui, è andato, senza ritorno. Con l’ultimo barlume di coscienza, mi stringe il bavero della camicia e mi sussurra:

- Salutami il cane.

Decido di non dirgli che l’ho investito parcheggiando, stamattina. Siamo solo in due. Guardo il mio sottoposto negli occhi.

- Salviamoci le chiappe, il terreno è perduto.

Ed optiamo per una fuga strategica. Ci muoviamo velocemente, tenendoci il berretto con la testa mentre sopra di noi sibilano discorsi donneschi riguardo borsette e maglioni.

E finalmente siamo fuori.

- Cosa ne sarà di noi, ora?

Rispondo con un silenzio eloquente. Poi rammento:

- Cazzo, le chiavi ce l’ho dentro!

Lo invito, senza troppa educazione, ad una missione suicida, per recuperarmi le chiavi. Forse sono andate tutte al bagno, potrebbe pure salvarsi. Ma a chi cerco di darla a bere?

Va, lui, stoicamente. Aspetto. E aspetto. E aspetto. Perdo le speranze, sto per infilarmi dentro, per non sopravvivere da solo, quando lo vedo spuntare, viso sereno e chiavi alla mano.

- Com’è andata, soldato?

- Capitano, calma piatta sul fronte occipitale.

Come diceva l’antico motto di Lao Tse, il fornaio cinese sotto casa mia: “L’amore, è come un tricipite.”

E prima o poi, devo chiedergli che cazzo significhi.

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