venerdì 18 giugno 2010

Album di Famiglia. La Nonna.


Da uno scritto ritrovato dietro una fotografia che Tazio Martini portava sempre con se. Queste parole vengono intese dai più come gli ultimi pensieri scritti della nonna di Tazio, scomparsa nel Settembre del millenovecentosettantuno.

In odore di lacrime in partenza, sfoglio tutti i cristi dei miei ricordi, ora che il suono forte della gola, arride alle costole che scricchiolano e infrangono il petto mio - pare che loro siano in più coraggio di me - . Le carezze del grigio si respirano quando Settembre muore; lo spazio dell’aria lasciato ai seni, ai polmoni che sobbalzano s’io singhiozzo. E’ la riva che mi sommerge a soffocarmi dei miei stessi sensi, mentre la spuma si prende gioco di tutto quello che pensavo mi fosse dovuto, avvolgendomi i piedi fino alle caviglie, per poi fuggire e ritornare, come in una vecchia canzone, chiamandomi, mordendomi, velando di lieve la coscienza, che ancora mi sento in diritto di chiamare tale, non so per quanto ancora. Lo sguardo che svolge quel incompiuto si infrange, senza soluzione, verso l’immenso dell’ignoto tutto attorno. Ho poca voglia di restare in piedi, meno ancora di rialzarmi. Quando piansi per la prima volta, la colpa fu di un amore finito. La seconda, fu per un amore morto, sepolto e inchiodato da una lapide. Ma cosa posso fare per un amore disperso? Forse aspettare ancora che sia la guerra a riportarmelo. Chiederlo indietro ad ogni soldato che è per la via. Mangiare in tremiti ogni necrologio, carezzare foto di giornale, aspettando notizie. Mio dolore, ti ho donato in pasto questa metà di secolo, tanto tempo da confondere la vita, la storia e la leggenda. E se le membra avvizziscono, non dimentico il sapore del tuo dire. Siamo così piccoli, che per risuonare nel vuoto, urliamo preghiere, che ancora non accontentano questo cielo di carta e fuliggine. Il mondo si muove sotto ai miei piedi d’avorio, o sono io che cammino, non ho modo di capirlo, mentre vengo a prenderti, nel fondo di questo mare che m’ha aspettato quanto io aspettavo te. Io t’avrò, tu avrai me, E tutt’attorno un applauso di luci, mentre balleremo la nostra canzone, nuotando a diecimila anni di profondità.

Nessun commento:

Posta un commento