lunedì 28 giugno 2010

Non saprò cosa hai fatto, William

- C’è la storia dell’uomo morto, fra quelle che so. Que pasa, amigos? Non ci vuoi credere? L’ho visto una volta, te lo giuro sui miei guevones. E’ la storia di un uomo che non tiene nome, ma se una scorreggia facesse scintille, ecco, quello sarebbe il suo nome. Se è una storia triste? No, hombre, non lo è. Non c’è nessuna er.. come dite… es… romantica. Non c’è sogno, in quel che dico, non c’è passione, y sientimento. Non c’è passato nemmeno Dio, in questa storia, intiende? Tutto era nove, dieci anni fa. Forse venti, non che importi poi, in questo buco di culo di posto. Ero seduto proprio li, dove sei tu adesso. Era caldo, torrido, come siempre, ma di più. Le mie chiappe erano sudate, e avevo bevuto solo il giusto, quel che basta a sopravvivere. Al tempo eravamo dieci peccatori e due preti in tutto il villaggio e il mezzogiorno stava zitto come un bastardo. Ma non quella volta. Quella volta era vento, y ronzio. Y tintinar.

L’orco guardava l’ospite, sornione. E con lentezza indicò la porta del saloon, l’avventore seguì lo slancio con gli occhi. Il mondo stava fuori ed il deserto con il suo niente, si muoveva un passo dietro al tempo. C’era rosso e liquore per cielo, la sabbia in turbine danzava gitana e insolente. Allora, l’ospite sentì.

Y tintinar.

Ma non era come se l’aspettava. Non era uno scampanellio. Sembravano invece nacchere. Secche, regolari, dipinte all’orecchio con mano ferma. L’ospite mise mano all’impugnatura di sandalo d’una pistola precisa, e si precipitò all’uscio. La campana vibrò i suoi rintocchi come fossero preghiere. Come sono fatte le parole, così arrivò l’aria, ma muta.
- Non.
Il forestiero mormorò orrore nel sentire il suo naso violentato dal fetore della carne marcia. Alla sua destra, una ragazza sulla veranda, nel velluto e nel raso, all’ombra dei suoi stessi capelli rossi, fermava i minuti stando immobile su una seggiola a dondolo.
- Cosa? – Le chiese, ma troppo tardi. C’era già lo scheletro, in fondo al viale. Piccola bestemmia scintillante, sepolta nel cinturone della pistola, cappello e bavaglio, stivali consunti. L’orco si gettò fuori dal locale ringhiando le parole, come si vomitano le sbronze. Annuì a quelle ossa e sparò fulmini imprecisi, schioccando le dita. Ma di ben altra abilità sono capaci gli uomini soli e sparano dritto, nel centro del cuore. Così l’uomo morto non si fece pregare e lasciò alla neve che prima o poi sarebbe venuta, un cadavere nuovo. Il fumo della canna, così sinuoso parlava di tutto quello che un’espressione d’un teschio non può dire. Lento, quello, arrivò al saloon, col giovane ospite che si ritrovò non più così giovane nel vederselo passare ad un palmo, così pieno di niente. Lo scheletro prese i capelli della ragazza e una commovente faccia putrefatta venne scoperta. Se la trascinò via ghermendola per quel lungo rame; i piedi di lei, che tracciavano l’assoluzione per la terra asciutta, smuovendola dalla sua ignavia, perdevano tessuti e vermi. Così il forestiero rimase in quel posto, per sempre, solo con il pensiero che spesso l’amore non somiglia all’amore.

Questa è la storia di Willie.

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