mercoledì 16 giugno 2010

Pugni

NOTA: il racconto risale a parecchio tempo fa. Era l'estate del 2008, io ero da poco tornato dalla Corsica e passavo un periodo particolare.
Sperando che rispolverarlo sia di buon auspicio per l'estate che viene, è un piacere offrirvi...


PUGNI
un racconto di
Danilo Cipollini




a B.


Spogliatoio non è solo un sostantivo singolare maschile. E’ un sostantivo singolare maschio. E’ come Rasoio, oppure Coltello, che ne so. Giornale, o Teatro, non fanno lo stesso effetto. Quelli sono solo sostantivi maschili, semplici, pura distinzione di Genere.
Spogliatoio, invece... Spogliatoio è Uomo, non solo Maschio, porta con se’ immediati ricordi di odore aspro di sudore, e candeggina, e dopobarba da due soldi. Porta idee di muri e macchie gialle, di orinatoi, di asciugamani umidi.

Sauna, invece... beh Sauna è femminile e femmina. Calda, umida e avvolgente...più Femmina d’una sauna non c’è davvero niente.
Dalla sauna sfilo un asciugamano che ci ho lasciato dentro qualche minuto e caldo e bagnato me lo appoggio sul collo per rilassare i muscoli. Poi mi siedo sulla panca di legno, i gomiti poggiati sulle ginocchia, lo sguardo fisso verso il pavimento bianco chiazzato, e resto in silenzio in questo spogliatoio mascolino e asettico a lasciare che il sudore mi scorra addosso. Sento le gocce scivolare dalle tempie e scorrere verso il naso, rigare gli zigomi, fermarsi a giocare qualche secondo sulla punta del naso e poi cadere a terra. Nel silenzio che c’è, ogni goccia che cade sembra un’esplosione.

Mi concedo un quarto d’ora di tranquillità ogni volta che devo salire sul ring. Non che siano grandi incontri, i miei... non sono un pugile professionista. Sono poco più che allenamenti con qualche amico. I pugni, però, sono sempre veri. In uno sport come la boxe il concetto di allenamento ha una valenza relativa... quando giochi su un terreno le cui regole sono distruggere l’essere umano che c’è davanti a noi, non c’è modo di edulcorare la realtà. Non puoi chiedere a un pugno di non stenderti, o di non farti male.
L’orologio segna le 22, è ora di andare di là. Stendo la mano lentamente alla mia destra e afferro le fasce per prepararmi a salire sul ring.

Di tutti gli strumenti che la boxe ti costringe a frequentare, le fasce sono senza dubbio le mie preferite.
Due metri e mezzo di poliestere e cotone, con un anello di stoffa da un lato e un cinturino di velcro dall’altro.
La fascia rende un pugno duro come un sasso. Protegge la mano, stringendo le nocche per evitare che si allarghino e indurendo il polso, evitando che si pieghi e subisca sforzi inopportuni e traumi conseguenti.. Al tempo stesso, comprime e stringe ossa e carne in un unico cono rigido, rendendo un pugno uno strumento perfetto.
Ma non è solo perchè sono utli che mi piacciono... Ci vedo dentro qualcosa di sacro, un retaggio del passato. Gli antichi sacerdoti greci indossavano fasce prima di officiare i riti per gli Dei. Quelle bende venivano conservate e difese anche con le armi, se necessario. Era da quelle fasce che quegli uomini sacri prendevano la loro forza spirituale.
Su un altare ben più profano celebro il mio, di sacrificio.
Comincio così il mio rito pagano, afferro la prima fascia, fisso l’anello alla base del dito medio e inizio a farla girare. Tre giri ben stretti intorno alle nocche, poi scendo gradualmente e inisto sul polso,
Tredici giri e la mano è pronta. Altri tredici, e sono pronto ad andare.
Le mani si fanno compatte, e le senti appesantirsi, e contemporaneamente le senti come se fossero invicibili.
Prendo i guantoni, li metterò solo all’ultimo momento.
Mi alzo e cammino veloce fuori dallo spogliatoio. Come al rallentatore spingo lo sguardo fuori dalla porta mentre la apro. La luce del corridoio mi cattura e non penso più a niente.
Dal momento stesso in cui sono fuori di qui, è già boxe.


Quattro ore dopo, sdraiato nel mio letto, fisso il soffitto respirando piano. La luce filtra dalle persiane semichiuse, e illumina di strisce tenui tutta la stanza, rendendo il nostro mondo zebrato. Sento caldo sulla spalla, su cui scendono i tuoi riccioli biondi, ma è una splendida sensazione. La tua testa ha trovato un appoggio comodo fra spalla e petto, e senza guardarti posso sentire il tuo corpo muoversi al mio fianco. Sollevi una mano con un gesto lento, e bellissimo, e la porti sul mio naso un po’ ammaccato dall’incontro di stasera. “A lui è andata peggio”, ti dico. Sorrido piano e tu ti giri a guardarmi. Mi baci per impedirmi di dire altre cose fuori luogo. E io sorrido un po’ più forte, perchè è proprio questo che mi piace, di te.
Lascio penzolare la mano sinistra fuori dal letto finchè non artiglio la scatola dei sigari e l’accendino. Accendo un mozzicone di Toscano – quella di fumare a letto è una pessima abitudine che ho preso da poco – e soffoco un colpetto di tosse quando la prima boccata di sigaro mi secca la gola come se fossi in pieno deserto. La tua mano mi scorre sul petto e poi inizia a scendere verso l’addome. All’ombelico si ferma e torna su, con un movimento circolare, risalendo dall’altra parte del busto, e ricominciando. Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, tredici volte.
Ed è lì che finalmente è tutto chiaro.
Non credo troppo nel destino e ho tanta fantasia. Per questo ho capito che tu sei le fasce della mia vita. Come la fascia impedisce al pugno di farsi male e lo rende più forte, tu stai facendo la stessa cosa col mio cuore. Quelle tredici carezze mi hanno fatto capire che si, è proprio così.
Chiudo gli occhi e spengo il sigaro in un bicchiere. Sfrigola un po’ a contatto con l’acqua, è il rumore di un istante ma nel silenzio lo si sente bene.
Non ti guardo e mi chiedo che rumore farà un cuore che diventa più forte.

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