domenica 27 giugno 2010

TETRAPILOSPITATA #1: Roberto Procaccini

NOTA AI LETTORI:
ovvero:
Perchè anche "lui", il settimo giorno, si riposò.


Lo staff di Tetrapiloctomia è lieto di annunciarvi che ci sentiamo Dio.
Ora, questa è una caratteristica comune a molti scrittori, quindi niente di nuovo. So per certo che Ken Follet provò a camminare sulle acque e Baricco ha cercato di trasformare l'acqua in vino.
Follet è quasi affogato, Baricco s'è rassegnato a bere succhi di frutta.
Perchè la Verità, temo, è che ci sentiamo Dio, ma siamo solo scribacchini. Tutti.
Quindi, per non incappare in delusioni, i vostri Tetrapiloctomici decidono di emulare l'Altissimo nella cosa più semplice. Ovvero: il settimo giorno, noi ci riposiamo.

Ma non vogliamo certo lasciarvi da soli ad affrontare un giorno duro come la domenica. Un giorno scorretto, un giorno corretto (grappa), talvolta. Un giorno che finisce già dal pomeriggio, causa spettro incombente del Lunedì.

E quindi, ospitiamo.

Da qui in avanti, una volta ogni due settimane (fino a esaurimento scorte), la Domenica sarà il giorno in cui sulle pagine elettroniche di Tetrapiloctomia vedrete apparire contributi di alcuni nostri amici.
Cominciamo oggi con...

ROBERTO PROCACCINI.
BIO: Roberto nasce a Napoli il 16 ottobre 1984. E lì rimane, non per scelta sua, ma perchè altrove non lo vogliono: mangia troppa pasta, sporca, canta canzoni sguaiate che inneggiano a Maradona, studia Storia in maniera compulsiva tanto da decidere di laurearsene col massimo dei voti condannando così se stesso a una fantastica disoccupazione ad altissimo tasso di cultura.
Il giorno in cui comincia a mangiare con coltello e forchetta e a scrivere un romanzo ("In Balìa") capisce di essere diventato troppo intellettuale, troppo colto, troppo educato e per questo si rivolge a Tetrapiloctomia.
Avremmo potuto indurlo a bere ma abbiamo fatto di peggio.
Gli abbiamo chiesto un racconto.
Eccolo.

DE FALLATIONIS CONSOLATIONE IN ARTE PORNOGRAPHICA

[ovvero "avere un cazzo per idrante"].

di Roberto Procaccini


L’arte è specchio della civiltà che la esprime. E’ piena di simboli, valenze, riferimenti a schemi culturali più ampi, all’immaginario tutto. E’ così, sempre, in qualsiasi epoca e di fronte a qualsiasi grado di complessità.

E’ per questo che esistono attualmente scienze quali la semiotica, la simbologia, è per questo che si registrano moltitudini di studi interdisciplinari sulla comunicazione attraverso immagini, suoni, parole. Perché un artista, in maniera più o meno consapevole, infonde nella propria opera più di quanto esplicitamente espresso, e allora dopo tocca ricostruire e interpretare tutti i collegamenti.

Oggidì, per ragioni che chi scrive non riesce ancora a comprendere nonostante l'impegno profuso, si incontrano grandi difficoltà a riconoscere pari dignità (e soprattutto ad applicare gli stessi strumenti) alla pornografia.

Eppure è chiaro che proprio una branca della cinematografia che si interessa di un argomento così delicato (l’essere umano - per lo più maschio, ma non necessariamente - e i suoi pruriti genitali) offre degli spunti di analisi eccezionali.

Nel nostro piccolo si proverà ad infrangere questo muro, e a mettere sotto lente di ingrandimento un aspetto della pornografia in particolare: l’emergere negli ultimi anni di una certa vena “pietistica”.

Intendiamoci. Il porno è una rappresentazione artistica di un realismo esasperato, a tratti esagitato, con vette che toccano spesso il surreale, di una delle principali attività dell’uomo: il Sesso. Lo si definisce in questo modo perché è chiaro che non solo è fortuna di pochi avere certi attributi, ma è pura fiction l’idea che possano essere universali certe attitudini.

Il sesso del porno è molto distante da quello praticato dalle persone comuni lontano da set, fari e obiettivi. Proprio qui sta il suo appeal (sebbene il genere “amateur” – dove ragionieri con la panza si fottono le mogli in pensione in 27 secondi netti – sia sempre molto apprezzato) : marcantoni con membri di pari dimensioni del tronco di un bambino di dieci anni, generose ragazze in grado di ospitare nei propri orifizi senza particolare difficoltà plurimi arnesi naturali e meccanici, tenuta allo sforzo aerobico e anaerobico fuori dal comune (anche se i più smaliziati sanno che l’arte del montaggio in questo aiuta molto), disposizione al sesso senza se e senza ma (soprattutto senza mal di testa, bambini che possono sentire, stanchezza, pigrizia o altro) etc etc. E’ questo, e molto altro, l’offerta del porno.

Si sarà però notato che il porno è un cinema molto attento a non disturbare il proprio pubblico. Emerge chiaramente dal fatto che nei film zozzi il ruolo dell’attore maschio è limitato unicamente a quello di portatore di cazzo (eretto). Le inquadrature sono tutte destinate alle attrici (ai loro sguardi, ai loro sospiri, al loro corpo, alla loro fica). Sono le attrici il vero protagonista principale: sono seguite dall’inizio alla fine, sempre al centro dell’obiettivo. L’interprete maschile, invece, compare giusto nelle inquadrature più ampie, altrimenti è destinato a comparire dall’ombelico in giù, mentre il suo braccio armato compie il proprio dovere. E’ veramente raro trovare un regista che decida di dedicare un piano sequenza all’attore nel proprio amplesso: e, quando capita, lo si trova di cattivo gusto, un fotogramma sprecato. Il primo piano dell’uomo che geme viene valutato come una caduta di stile. E, d’altro canto, se il pompino è un must ineliminabile da qualsiasi pellicola porno (prima, dopo e a volte durante l’amplesso), molto più raro è incontrare un cunnilingus.

Ed è proprio sull’onda lunga di questa tendenza, dunque, che nasce un sub-filone particolare. Questo, secondo chi scrive, nasce dalla volontà di mettere assolutamente a proprio agio uno spettatore che, altrimenti, potrebbe essere turbato dall’atletismo di gonzi ben più dotati e capaci di lui. Sicuramente chi legge (e finiamola di fare la parte “e no, io film porno non ne guardo!”) avrà sentito parlare dei POV. Questi sono dei filmati, spesso brevi, solitamente privi di trama e centrati unicamente sull’action, dove in soggettiva (POV è l’acronimo di Point Of View) il porno-attore riprende il proprio amplesso. Ce ne sono di completi (dove, ovvero, è filmato un rapporto vaginale), ma il più delle volte, e non è un caso, i POV riguardano solo seghe o pompini.

Riepiloghiamo. Uno spettatore carica il video e si trova 7-8 min di inquadratura fissa: di fronte al bacino e alle gambe dell’attore che tiene la telecamera (ci risiamo: dall’ombelico in giù), una o più ragazze espletano il proprio lavoro.

Si tratta di un vero e proprio atto di democrazia e cortesia. L’inquadratura soggettiva non serve tanto a favorire l’immedesimazione tra spettatore ed interprete, quanto a neutralizzare al massimo la sensazione di invidia del pene e inadeguatezza che in una persona possono suscitare le imprese di Peter North. Nei POV l’attore finisce per essere unicamente il proprio cazzo: niente di lui, se non la voce, arriverà in video. E per di più un cazzo dritto, ma perfettamente inerte: non un colpo di bacino, non un’impresa sportiva, niente di tutto ciò. Niente che possa far pensare allo spettatore “io questo non lo saprei fare”. In realtà i POV potrebbero essere girai con dildo vibratori, data l’assoluta passività dell’uomo, ma non lo si fa perché, ovviamente, ciò renderebbe il video meno interessate.

L’attore rimane immobile, seduto o sdraiato, mentre l’attrice lavora di gomito, fino alla liberatoria sborrata conclusiva. Lo spettatore non si trova di fronte un rivale che sottolinea la sa medietà erotica; anzi, potrà pensare con una certa libido e soddisfazione “anche io saprei farmi spompinare in questo modo”.

Che cosa impariamo, allora? Che in questa società dello spettacolo, del business, della competizione sfrenata, del tutti contro tutti, dell’homo homini lupus, del mors tua vita mea, del liberismo sfrenato, c’è ancora spazio per la misericordia e per la comprensione. Come se i giocatori professionisti di calcio organizzassero una serie dove, tra colpi di tacco e maestrie, non si riesce a correre per 90 minuti, ogni tanto ci si fanno due risate, tra primo e secondo tempo ci si prende a gavettoni e la diretta sky finisce in pizzeria tra rutti, sbronze e scoregge.

Un cinema nato sull’esaltazione del corpo, delle misure, di prestazioni fuori dal comune, dove il gigantismo e l’ipertrofia sono la norma, che decide di fare un passo indietro per andare incontro al proprio pubblico.

In questo mondo c’è ancora spazio per la poesia.

6 commenti:

  1. Come trovare una nobile scriminante ad anni e anni di manutenzione dell'attrezzo. Sei un mito. G.

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  2. ma quindi quando guardi un porno ti senti uno sfigato perchè non sai soddisfare la tua mano come l'attore soddisfa apparentemente l'attrice?

    johnny

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  3. nun c'ho capito un cazzo! (è proprio il caso di dirlo...)
    Comunque l'autore mi sembra ferratissimo, complimenti! (sarà un campione di seghe)

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  4. Caro Mr. Holmes, ma come, proprio lei mi cade sull'argomento?
    Mi tolga una curiosità: è vero quel che dice Elio, ovvero che "il pene le da pane", oppure spera nella zona UEFA? Perché nel caso, noi ci teniamo i nostri campioni, per evitare d'incappare in personaggi tendenzialmente predisposti a far rima.
    Grazie del commento, speriamo di risentirci presto, su queste pagine.

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  5. Ovviamente scherzavo.
    Scrivo dall'Aldilà e sull'argomento (che mi ha dato molto pane e figa) sono il numero 1.
    Volevo solo aggiungere che l'autore dimentica che i film prodotti negli States sono molto attenti alle pari dignità/opportunità.
    Le donnine che offrono la propria bocca per simpatici soffocotti, vengono ricambiate con spettacolari minette. Poi basta però! Dopo devono offrire tutti i loro orifizi per la goduria dei miei discepoli.
    Alla prossima, devo scappare, devo trombarmi una ancella di Lucifero.

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