sabato 16 gennaio 2010

Scleropatomittenza 7: non è orario d'ufficio.

Che quando si dice la fortuna...

...sappiamo che non mi riguarda.
Quel che invece può riguardarmi è arrivare venerdì sera alle sette e mezza, non prima, proprio alle sette e mezza, alla cassa del supermercato e non trovarsi più il bancomat.
Avessi fatto la spesa solo per me amen, me ne sarei tornato a casa, magari appena appena con l'umore nero, e avrei passato il fine settimana a pasta e niente, magari gustandomi quella retrospettiva sulle avanguardie cinematografiche russe d'inizio secolo di cui parlo sempre.
E invece la spesa era per la cena di stasera e il pranzo di domani in montagna di dieci, e dico dieci persone. Tra l'altro adesso presentatemi un'altra persona in grado di spendere ottanta euro per ubriacare e saziare due volte dieci persone. Mangiata e sbronza a cena, quattro euro, mangiata e sbronza a pranzo, quattro euro, per tutto il resto c'è(ra) il bancomat (o giùdi li, sistematevela voi questa battuta, che sto su un computer prestato, con dieci unni che bevono e si abbuffano nell'altra stanza e avrei una certa voglia di raggiungerli).
La cassiera mi guarda con occhio da triglia sul banco del pesce, e pure io non devo avere un'espressione più intelligente ma, siccome sono una persona a modo nonostante tutto, gli chiedo di perdonarmi, che a quanto pare il bancomat mi ha lasciato ed è scappato ai caraibi con qualcun'altro, probabilmente a spese mie, e in tasca ho ben cinque euro per sopravvivere al fine settimana. Senza farmi prendere dal panico prendo il telefono e chiamo il santo salvatore, per questa volta nelle vesti di mio padre, per dirgli di venire al supermercato, si, quello, e di portare il bancomat, no, tu non ti preoccupare e porta il bancomat. Me ne sto una mezz'ora, con il cellulare che intanto ha deciso di spegnersi, a pregare che il santo salvatore abbia capito dove e con cosa venire.
Arriva, paga, nota la modica quantità di alcolici che stazionano nel carrello mentre io comincio a maledire chi di dovere e ci dirigiamo a casa.
Il numero verde per bloccare la carta se ne sta il, occupato e sorridente, per una buona mezz'ora; poi il miracolo, suona libero, mi risponde un'operatore. Ora non tacciatemi di razzismo, ma la gente di quaggiù, fra i tanti difetti, è molto più disponibile di voi lassù, nel freddo e produttivo nord, e magari un operatore di qua sotto l'avrebbe capito da solo, senza bisogno di spiegazioni, che una madre che ti urla nell'orecchio libero dalla cornetta rende leggermente più complicato capire quello che stai dicendo, stronzo dalla voce flebile e dall'accento volutamente incomprensibile. Si, si è sentito che hai iniziato a parlare in dialetto subito dopo aver letto le mie origini, e per quanto la cosa non mi renda felice sei italiano pure te, parla, cortesemente, nella tua cazzo di lingua ufficiale, quella con le origini giudaico-cristiane che vai sbandierando, non in quella di origini teutoniche che comunque non ti riguardano, che quando passi il confine ti prendono per il culo pure a te, che sei italiano.
L'unica cosa che riesco a capire, prima che il simpatico e disponibile operatore riagganci senza darmi spiegazioni, è di attendere e segnarmi il numero (tanto chi non ha sempre carta e penna a portata di mano), e cosa ci devo fare con il numero, voi lettori che siete romani come me, lo sapete già.
Acquisito il numero importantissimo mi reco presso la più vicina caserma dei carabinieri, che pare abbiano, fra le altre cose, la funzione di raccogliere denunce.
Spiego via citofono il motivo della mia presenza in loco, che capire quello che dice al citofono, quando la caserma si trova giusto su una via trafficatissima, è una sciocchezza; rispiego al tipo il motivo della mia presenza in loco allo stesso tizio del citofono attraverso un vetro, che pare se lo sia dimenticato nel giro di forse trenta miei passi; mi sorride e mi spiega cortesemente (oh, sia chiaro che qua sono ironico) che posso tornare domani a sporgere la denuncia dalle otto alle venti.
Guardo l'orologio, otto e tredici minuti, nessuno a parte io e il tizio dall'altra parte del vetro (previdente!) in vista, io che ho la luna che più di traverso non si può, e lui a dirmi di tornare domani. Chiedo delucidazioni, giusto per scrupolo, e lo prego in ginocchio di fare un'eccezione, ma lui no, gli dispiace, non si può fare.
Non è orario d'ufficio.

Non è orario d'ufficio!

Non è orario d'ufficio!?

No. Non è orario d'ufficio.

Me ne torno a casa, raccomandando l'anima dell'uomo a quanti, nel mio personalissimo pantheon, sono amanti degli scherzi di pessimo gusto, che loro, che sono persone a modo come me, il loro lavoro lo fanno sempre, non solo in orario d'ufficio.


Che poi avevo in mente di scrivervi tutt'altro post, fra sei o sette ore, parlando di vizi, piaceri, e della protagonista di un sacco di miei post(quali sono vedetelo voi, non mi va di mettermi a lincarli), ma il mio personalissimo pantheon è pieno di amanti degli scherzi di pessimo gusto, e se non dirigo altrove la loro attenzione loro, che si annoiano facile, passano il tempo scherzando con me.
Magari quel post ve lo scrivo lunedì, che ora, se permettere, mi unirei ai dieci unni già citati, che m'è venuta voglia di bere.

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